venerdì 17 ottobre 2008

Lavoro: il disagio di una vita precaria.

Con il post che vi propongo oggi sono consapevole di rischiare di andare fuori tema. Che c'entra il lavoro nei call center con l'employer branding e i talenti? Forse c'entra poco. Penso però che tra le migliaia di ragazzi e ragazze, cuffia in testa per otto ore di lavoro davanti ad un monitor, troviamo giovani diplomati o anche brillanti laureati che non si sa come finiscono in questa assurda area di parcheggio pensando magari ad un lavoro temporaneo e finendo invece per passarci talmente tanto tempo da non riuscire più a collocarsi. Ma siamo proprio sicuri che siano tutti così scarsi da non meritare una chance in più. O è forse il mecato del lavoro che da questo punto di vista ha qualcosa che occorrerebbe cambiare? Sto parlando non solo di formazione ma anche di opportunità di ingresso nel mercato del lavoro. In ogni caso mi sembrava interessante segnalare un artciolo di oggi su La Repubblica: si tratta di un reportage di un giornalista della testata che ha lavorato per una settimana in un call center ad Assago, nel Milanese, condividendo così le aspettative e le delusioni dei precari che ogni giorno vivono la loro esperienza nelle centinaia di strutture analoghe esistenti in tutta Italia.


Io cavia nel call center. Cronaca di una vita precaria
di Sandro De Riccardis
"Sono l'operatore 172. Ho risposto a un annuncio su Internet spedendo via e-mail il mio curriculum, e dopo il colloquio sono qui, con le cuffie in testa e il microfono che mi sfiora le labbra, a proporre a decine di titolari di partite Iva di lasciare Telecom e passare a Infostrada. Ho lavorato una settimana alla Mastercom, azienda di telemarketing e teleselling nella zona industriale di Assago, hinterland di Milano, un cubo di vetri a specchio e cemento a pochi passi dalla tangenziale Ovest, costola di un gruppo in espansione con nuove sedi a Roma e Benevento. Dopo la selezione, ho trascorso giorni in azienda senza aver firmato nessun contratto. Ho visto i 1200 euro lordi assicurati dai selezionatori, al colloquio e nei primi due giorni di formazione, diventare 800 al mese lordi (appena 640 netti), mentre le provvigioni promesse si sono ridotte in ventiquattr'ore della metà. Ho conosciuto universitari che non ce la fanno a pagarsi gli studi, ragazzine appena diplomate reduci da altri call center, segretarie trentenni licenziate e sostituite da giovani con contratto da apprendista, laureati con titoli improvvisamente inutili. Tutti senza altra chance che essere qui. Mi pagano 4 euro netti l'ora. Contratto di collaborazione occasionale per trenta giorni, poi a progetto. Otto ore al giorno - 4 e mezzo il part time - di fronte a un monitor che passa in automatico i dati degli abbonati Telecom da contattare. Promettono un mensile di 1200 euro e provvigioni di 20 (contratto Voce) e 25 euro (contratto con Adsl) per ogni nuovo cliente rubato alla concorrenza. "Qualcuno qui guadagna più di me - spiega Massimo, il selezionatore, al colloquio -. La media dei contratti di ogni operatore è di 3,9 al giorno". Nessuno però spiega il trucco contabile: il calcolo dell'azienda è su 30 giorni lavorativi perché alla Mastercom si lavora dal lunedì al venerdì. Così trenta giorni, il loro "mensile", corrispondono a sei settimane. Un mese e mezzo. E i 1200 euro promessi diventano nella realtà 800 euro al mese. Lordi. Appena 640 netti. Pagati a 60 giorni. Una cifra che nessuno pronuncia mai, un equivoco che gli altri 16 ragazzi che entrano con me in azienda capiranno molto tardi.
Alla Mastercom il turnover di operatori è continuo: ogni lunedì entrano tra i dieci e i venti nuovi lavoratori, altrettanti abbandonano. Con me ci sono quattro ragazzi e 12 ragazze. Dai 19 anni di Antonella e Giovanna, appena uscite dalle superiori, ai 38 di Carla e agli "oltre 40" di Alessandra, che s'imbarazza a rivelare l'età e a dire che sta provando a riprendere a lavorare dopo nove anni, dopo un divorzio. Ci sono anche 4 stranieri: Frida che viene dal Ghana e Salomon dal Camerun, Betsy dall'Ecuador e Lidia dal Venezuela. Tutti ventenni, seconda generazione di famiglie arrivate in Italia quando loro erano bambini. Sono i nuovi italiani: scuole a Milano, ottimo italiano, ambizioni di un futuro diverso da quello dei genitori. Molti arrivano dai call center di Monza, Cesano Boscone, Milano città, "dove si lavora 24 ore su 24, dal lunedì alla domenica, come robot". O da centri commerciali, ristoranti, locali nel cuore della movida milanese dove "una notte di lavoro, dalle 19 all'alba viene pagata 50 euro in nero a fine serata". I primi due giorni di formazione - non retribuiti, anche se è a tutti gli effetti attività lavorativa che dev'essere pagata dal datore di lavoro - sono una full immersion di marketing e psicologia della vendita. Con qualche trucchetto per produrre di più. Uno riguarda il modem per Internet. "Si può noleggiare o acquistare - spiega chi ci istruisce - . Al telefono col cliente, abbassate la voce come se state rivelando un segreto poi sussurrate: "Guardi, glielo dico senza farmi sentire sennò mi licenziano. Lo compri, costa solo 17 euro, le conviene piuttosto che pagare 3 euro ogni mese. In realtà lo state fregando. Presto si romperà, e l'azienda non ha nessuna voglia di fare manutenzione". Le ore passano tra simulazioni di telefonate, studio delle obiezioni che riceveremo, illustrazione dei contratti da proporre. "Dovete essere lo specchio dell'altro. Capire i desideri dell'acquirente, agire sulla parte emotiva - ci dicono - . Fare come scrive Pirandello. Cambiare ogni volta maschera. Se ci pensate, noi vendiamo sempre qualcosa: le idee, la nostra immagine, le nostre scelte". Fino al mercoledì, terzo giorno di lavoro, nessuno vede un contratto. Così nel cortile nascono complicati dibattiti sullo stipendio, con i telefonini che si trasformano in calcolatrici. L'atrio all'ingresso è l'unico spazio all'aperto. È qui che si fa pausa per caffè e sigarette. Qualcuno dell'azienda ci vede e ci rassicura, almeno sulle provvigioni: "20 euro per contratto voce, 25 Adsl". Poi si passa in sala training e da mezzogiorno iniziamo a fare le prime telefonate. "Ricordate Full metal jacket? - dice Alex, il nostro team leader - Il soldato diceva "Il mio fucile è il mio migliore amico, è la mia vita. Senza il mio fucile io sono niente". Il nostro fucile sono le cuffie. Con loro dobbiamo saper colpire il bersaglio". Con il nostro fucile, siamo operativi davanti ai pc senza aver firmato nulla. Come se paga, provvigioni e condizioni contrattuali fossero una variabile indipendente dal nostro lavoro. Ma ecco, due minuti prima della pausa pranzo, quando non vogliamo far altro che scappare a mangiare, arrivano i moduli per la firma. "È il contratto standard dei collaboratori occasionali" spiegano a chi si dilunga a leggere. Molti capiscono solo ora che i 1200 euro di stipendio coprono sei settimane di lavoro e non un mese. E che non è detto che le nostre provvigioni saranno di 20 e 25 euro: la terza pagina da firmare è un elenco indistinto di gettoni da 5 a 25 euro. Per tutto il pomeriggio di mercoledì, le nostre telefonate raggiungono il segmento di clienti Telecom ULL (Unbundling local loop), quelli che sono rimasti sempre fedeli all'ex monopolista e a cui si propone il distacco totale dalla vecchia Sip. Poi, all'improvviso, giovedì, il nostro team leader blocca tutto. "Siete un gruppo molto affiatato, l'azienda vuole scommettere su di voi. Da ora chiamerete un'altra categoria di clienti". Soddisfatto dei complimenti, tutto il gruppo - tranne tre che restano sui vecchi contratti - inizia a chiamare i "silenti", i clienti che ai tempi delle prime liberalizzazioni sono passati a Infostrada pur dovendo pagare doppio canone, e che per questo sono rimasti a Telecom. "Si tratta di convincerli a tornare", ci dicono. Partiamo con le telefonate ai Wrl (clienti fuori copertura). Per scoprire, soltanto il giorno dopo, che per questi contratti le provvigioni non sono di 18 e 25 euro ma 8 e 12 euro. Meno della metà. Nessuno ce lo dice. "Per ora è cosi" rispondono quando chiediamo spiegazioni. Ma nessuno ribatte. E nessuno reagisce alle proteste delle persone a casa, alle offese e alle minacce di denuncia. Ci hanno insegnato che dobbiamo essere più forti delle difficoltà. Mi metto in contatto con un clic con ogni partita Iva che appare sul monitor. Da Bolzano a Siracusa, chiamo tappezzieri e pizzerie, parrucchieri e macellai, studi di architetti e avvocati, profumerie e scuole guida, imprese edili e meccanici. "Oggi è la 14esima volta che ci chiama qualcuno" rispondono all'Oasi del capello di Broni, provincia di Pavia. "Siete ossessivi" dicono da un negozio di giocattoli di Potenza. "Bombardate dalla mattina alla sera" si sfoga un medico calabrese. Perché quando qualcuno non accetta la proposta, l'ordine non è di escluderlo dal database, ma di rimetterlo in circolo per essere richiamato tra poche ore o tra una settimana, a secondo della violenza della sua protesta. Il contrario di quanto stabilisce il Garante della privacy che dal dicembre 2006 obbliga i call center a "rispettare la volontà degli utenti di non essere più disturbati". I miei colleghi che misurano ogni euro del loro lavoro, si accorgono così che non è tanto facile acquisire clienti. Anche se per giorni ci hanno ripetuto il numeretto magico di 3,9 contratti stipulati ogni giorno da ogni operatore. Tra mercoledì e venerdì facciamo tre contratti. Lunedì, ultimo giorno di lavoro, un paio. In fondo alla sala, sulla lavagna c'è il nome di ognuno di noi: in rosso c'è l'obiettivo che si è dato prima di partire, accanto uno smile per ogni contratto realizzato. In queste sale non c'è il rito motivazionale che si vede in Tutta la vita davanti, il film di Paolo Virzì sul mondo dei call center, ma a ogni contratto concluso dai nuovi, c'è in sala training l'applauso dei colleghi. E così avviene nella sala grande se qualcuno raggiunge il numero di contratti per ottenere il bonus in busta paga. Un concetto ce l'hanno spiegato subito: serviamo solo se vendiamo. Perché la somma dei nostri contratti fa il risultato del team leader, i loro risultati sono il target della Mastercom col committente, Wind-Infostrada. "Ma se l'azienda fissa gli obiettivi, mette a disposizione le sue strumentazioni e gestisce turni e assenze, si configura una posizione da lavoratore dipendente", spiega Davide Ferrario, del Nidil, il sindacato dei precari della Cgil. Dopo una settimana, il mio gruppo non esiste più. Eravamo in 17 il primo giorno, siamo rimasti in 5. L'ultimo contratto che vedo è di Luca, rimasto in sala training una settimana in più, mentre quelli arrivati con lui sono già nella sala grande. È stato 15 giorni in attesa di questo momento: contratto Adsl a una romena di 18 anni. A fine giornata, tira fuori il telefonino e immortala l'evento. Fa una foto alla lavagna col suo nome accanto al disegno di un visino sorridente".
Io cavia nel call center. Cronaca di una vita precaria di Sandro De Riccardis
su La Repubblica del 17 ottobre 2008

mercoledì 15 ottobre 2008

La crisi esalta il valore dei talenti.

Secondo un interessante articolo pubblicato oggi su Il Sole 24 Ore e che vi riporto di seguito per comodità e facilità di lettura, il calo dei fatturati spinge le aziende a sviluppare la centralità delle competenze e per i direttori del personale crescerà la richiesta di dipendenti dotati di leadership e attitudine al rischio.

"Forse questa sarà la prima volta che, almeno in Italia, le imprese decideranno di scommettere realmente sui talenti. A innescare il cambio di rotta l’emergenza sui mercati finanziari e il rischio di ripercussioni anche sull’economia reale. Investimenti rivisti al ribasso, taglio del personale, calo della domanda e maggiore concorrenza internazionale costringeranno infatti piccole e grandi aziende ad abbandonare la centralità del brand Italia come strategia esclusiva di mercato e a scommettere con maggior determinazione sulla creatività del proprio capitale umano.
Soprattutto sulla capacità dei dipendenti di innescare cicli progettuali inediti e convertibili a breve e medio termine in occasioni concrete di business. Ne è convinto Roberto Savini Zangrandi, presidente nazionale dell’Aidp, l’associazione italiana che riunisce i direttori del personale, formatori, esperti di organizzazione, gestione e sviluppo delle risorse umane, nonché direttore del personale del Consorzio per il Sistema informativo piemontese: «In Italia - premette - si fa una gran confusione sul concetto di talento. Noi definiamo talentuose quelle persone che sanno fare la differenza, grazie a un mix di leadership, fantasia e attitudine al rischio. Di gente del genere - continua - le imprese hanno un costante bisogno, ma in special modo oggi, in una situazione complicata come quella verso cui stiamo andando incontro».

Evidente che il 2009 sarà un anno difficile per tutti ma, come si dice, di necessità virtù. Almeno questo è il messaggio, e il consiglio, che Savini si sente di mandare al tessuto produttivo italiano: «Le aziende effettueranno licenziamenti, si vedranno ridimensionare i finanziamenti dagli istituti di credito e si assisterà a una riduzione dei player che potranno permettersi di investire in maniera massiccia nella componente umana di alto profilo. Ci troveremo quindi in una situazione in cui aumenterà la disponibilità sulmercato di persone talentuose a prezzi però inferiori rispetto al passato. Si apriranno quindi maggiori occasioni per le realtà disposte a scommettere sulla carica energetica che questi individui sono in grado di fornire».

La sfida, soprattutto per le piccole e medie aziende, potrebbe però essere anche quella di trovare al proprio interno quei talenti nascosti che per esprimersi avrebbero solo bisogno di essere riconosciuti come tali e accompagnati in un percorso di crescita e costruzione di nuove professionalità. Formazione accademica, tutoraggio aziendale e autoapprendimento on the job in un contesto ispirato al lifelong learning la ricetta per quegli imprenditori che non possono accedere al mercato del lavoro dei talenti a causa delle esigue risorse economiche.

«Fino ad oggi - spiega Giustiniano La Vecchia, managing director di EdòGroup, altra realtà che si occupa di human resources - le imprese non si sono mai preoccupate dell’importanza delle risorse umane d’eccellenza. La gestione dei talenti in sé non è un affare poi così complicato, più complesso è invece inculcare alle aziende la voglia di investire sulle persone, anche perché tali investimenti devono poi trasformarsi in progetti concreti. Bisogna in altre parole operare un trasferimento dalla centralità del brand al vero valore su cui può contare oggi chi produce, vale a dire le persone. Ogni dipendente deve avere la chiara certezza che qualcuno crede e sta investendo su di lui. Larealtà è però diversa: in molti casi nelle aziende non esiste una figura indispensabile come quella di un mentore che affianchi nei primi 18 mesi chi entra nel mondo del lavoro».

Non ci sono alternative, la strada obbligata è affrontare la recessione e giocare d’attacco: «Non dimentichiamo che in Italia - conclude La Vecchia - con tutti i problemi connessi alla formazione, possiamo contare su scuole e università estremamente valide e abbiamo a disposizione tanti talenti che aspettano solo di essere valorizzati, basta la volontà di intervenire sulle risorse umane in maniera qualitativa e non quantitativa».

É quello che sta chiedendo il mercato globale e, da questo punto di vista, forse la crisi mondiale del credito potrà contribuire a dare uno scossone nella direzione giusta".
La crisi esalta il valore dei talenti di Massimiliano Del Barba
su Il Sole 24 Ore del 15 ottobre 2008, pag. 31

giovedì 9 ottobre 2008

Business Game: Bnp Paribas lancia Ace Manager.

BNP Paribas annuncia il lancio di Ace Manager, il primo ''banking adventure game'' basato su situazioni di esperienza lavorativa reale. Una iniziativa che segue altre esperienze di successo come è il caso di L'Orèal il cui business game si può dire che ormai abbia fatto scuola, ma che se non altro è originale e innovativa per il settore bancario. L'iniziativa coinvolge le scuole di business e gli studenti universitari di 26 paesi nei 5 continenti ed è parte della strategia di gruppo volta ad aumentare la conoscenza di BNP Paribas tra i giovani e a elevare la notorieta' dell'employer brand di gruppo, con l'obiettivo di diventare una delle aziende maggiormente ambite al mondo per cui si desidera lavorare.

D'altra parte, almeno per quanto riguarda l'Italia, il gruppo Bnl Bnp Paribas, nato da poco più di un anno dopo l'acquisizione della Banca Nazionale del Lavoro da parte dei francesi di Bnp Paribas, ha registrato un sostanziale miglioramente della propria employer value proposition classificandosi al 31° posto come employer di riferimento nella classifica 2008 della Best100, le aziende preferite dagli italiani di PeopleValue, in netto miglioramento rispetto alla XX posizione registrata nell'analoga rilevazione del 2007 e pur in un contesto, come quello del 2008, nel quale le preferenze lavorative dei diplomati e dei laureati intervistati si sono indirizzate per la maggior parte veso altri segmenti dell'economia penalizzando principalmente l'appetibilità di una carriera nel settore della finanza, anticipando per un certo verso quanto sta accadendo in questi giorni, visto che le interviste per la realizzazione dell'indagine sono state effettuate nei mesi di giugno e luglio di quest'anno, quindi ben un trimestre prima dello scoppio della drammatica crisi che ha coinvolto il mondo della finanza a livello globale.

Tornando all'iniziativa di Bnp Paribas, per accrescere la ''brand awareness'' nel mondo degli studenti, l'istituto di credito con Ace Manager, punta a capitalizzare la sua grande esperienza nel tennis (settore dove è presente da diversi anni con sponsorizzazioni di rilievo tra cui Roland Garros, Davis Cup by BNP Paribas e Internazionali BNL d'Italia) affiancandola ad un innovativo approccio nel recruitment.

Ace Manager è stato progettato per dare agli studenti una conoscenza delle tre attività di core business del Grupp Retail Banking, del Corporate and Investment Banking e dell'Asset Management & Services. I 3 casi aziendali, basati su reali esperienze del business bancario e del mondo del tennis, testeranno l'attitudine dei partecipanti a lavorare nelle diverse attività bancarie. Verrà inoltre richiesto loro di dimostrare le proprie capacità nei 4 principali valori di BNP Paribas: reattività, creatività, ambizione e impegno. La Banca inviterà le migliori 5 squadre a Parigi il prossimo aprile per confrontarsi, in finale, con un nuovo caso aziendale. L'intero business game si disputerà interamente in lingua inglese (che rivoluzione per un'azienda che pur con interessi globali ha il suo ponte di comando in Francia) e un panel di esperti giudicherà l'ultima prova che riguarderà una situazione pratica, direttamente attinente al mondo BNP Paribas.

Gli studenti possono registrarsi dal 17 Novembre sul sito dedicato alla competizione: acemanager.bnpparibas.com.

Il gioco si svolgerà online durante 6 settimane, dal 4 febbraio al 18 marzo 2009.





BNP Paribas Ace Manager from BNP Paribas Ace Manager on Vimeo.

lunedì 6 ottobre 2008

Talent Shortage.

La crisi di talenti sta creando cambiamenti strutturali nella forza lavorativa e i datori di lavoro che non vi prestano attenzione potrebbero ritrovarsi velocemente nei guai. È quanto si legge nel Libro bianco Manpower intitolato Talent shortage 2008.

La carenza di talenti non può più essere considerata come una crisi all’orizzonte. In molte regioni e in molti settori industriali è una crisi già in corso che minaccia di acutizzarsi e diffondersi ulteriormente. La carenza di talenti costituisce una minaccia alla crescita economica e alla prosperità mondiali. Sebbene molti dei problemi associati alla carenza dei talenti siano ampiamente riconosciuti,
le aziende, le pubbliche amministrazioni e i singoli devono ancora abbracciare o implementare in maniera estesa potenziali soluzioni della cui applicazione sono pronti a beneficiare, secondo quanto si legge sul report.


Gli orizzonti lavorativi degli italiani guardano poi sempre più spesso oltre le frontiere della Penisola. L'indagine condotta da Manpower sul fenomeno della fuga dei cervelli attraverso un sondaggio che ha coinvolto oltre 30mila tra imprenditori e lavoratori dipendenti, in 27 paesi, ha registrato per l'Italia che il 42% dei datori di lavoro italiani è preoccupato dalla mobilità dei talenti, che espatriano all’estero alla ricerca di opportunità più appaganti e qualificanti, e l’87% sostiene che le normative vigenti non sono sufficienti a rendere attraente l’Italia.

La questione della fuga potrebbe rappresentare un circolo virtuoso se solo esistesse la tendenza a rientrare nel mercato interno, magari arricchiti da esperienze professionali e culturali distanti. Ma al momento sembrerebbe che la chiusura del cerchio resti incompleta. In Italia infatti non si trova terreno fertile in termine di sfide e opportunità, e al contempo non si trovano multinazionali con la voglia di investire in un paese burocratizzato e tassato. Il crocevia verso l'opportunità, così, prende la direzione delle nuove economie, come la Cina o la Russia, verso cui i grandi gruppi stanno dimostrando apprezzamento crescente.

Anche nella fascia top si è di fronte a un rallentamento. Gli spiragli per puntare in alto si sono ristretti, ma non mancano. Secondo i dati elaborati da Manpower, le posizioni aperte nei segmenti dirigenziali sono inferiori rispetto all’ultimo anno di espansione che coincide con il 2007.

E se entrare nel mondo del lavoro e bruciare le tappe è una cosa complicata, esiste almeno qualche accortezza per avere più chance. La prima è fare le esperienze giuste, anche all’estero. Accrescere il proprio bagaglio culturale, infatti, permette poi di capitalizzare nel mondo del lavoro e godere di più referenze una volta al tavolo delle trattative. Secondo un recente studio effettuato dal Censis i lavoratori dipendenti emigrati all’estero, nel 32,1% dei casi, a tre anni dalla laurea hanno una posizione di quadro o funzionario, contro il 17,1% in Italia. L’accesso precoce alla dirigenza, invece, è equivalente nei due casi: circa il 2% dei casi.

Anche in Italia, intanto, i contratti dirigenziali si stanno adeguando alle caratteristiche tipiche degli impieghi manageriali europei o americani. Stipendio fisso più una quota variabile, che cambia in base ai risultati sebbene per quanto attiene al monte stipendi, secondo il Censis il confronto tra Italia ed estero si fa impietoso. Il peso della busta paga è sotto i 1.000 euro netti al mese per il 24,6% dei giovani rimasti in patria, dunque circa un quarto del totale, contro il 10,2 di quelli che lavorano all’estero. Tra i 1.000 e i 1.300 euro le percentuali sono 40,4 contro il 16,4%. Ma è guardando alla fascia alta che il differenziale si fa evidente: tra chi ha trovato lavoro fuori dei confini nazionali lo stipendio supera i 1.700 euro al mese nel 43% dei casi, tra chi è rimasto a casa appena per il 9,2%.

Tre gli approcci individuati nel Libro Bianco di Manpower per rispondere alla carenza di talenti. Organizzare corsi di aggiornamento per rendere il personale più qualificato, innanzitutto, strumento peraltro meno dispendioso rispetto alla ricerca ex novo di figure adatte al ruolo. Inoltre rendere il posto di lavoro maggiormente attraente per i dipendenti. Allo stesso tempo è necessario creare un equilibrio accettabile tra lavoro e vita privata, incentivando accordi di maternità e paternità e indennità annuali di congedo retribuito. Senza dimenticare da ultimo la necessità di rafforzare il legame con la scuola e le università. In altre parole, fare employer branding.




Talent Shortage 2008: clicca qui per scaricare il testo completo.

venerdì 3 ottobre 2008

Le migliori aziende per la carriera secondo Business Week.

Qual è la società migliore per iniziare la propria carriera? Secondo Business Week, che ha pubblicato la classifica 2008 dei Best Place to Launch a Career, il posto migliore dove cominiciare la propria attività professionale sono le società di accounting, prima fra tutte Ernst&Young, seguita da Deloitte&Touche e da PWC al terzo posto. A chiudere questa sequenza, Kpmg al quinto posto, subito dopo Goldman Sachs, sebbene sotto pressione per gli scossoni che hanno recentemente colpito il mondo della finanza e delle banche d'affari in genere.

La classifica, dove troviamo anche Google in 7^ posizione, Ibm in 9^, Microsoft in 13^ e General Electric in 18^, è stata elaborata da Business Week accorpando i dati provenienti da tre diverse fonti. La prima quella dei responsabili dei placement office delle Università ai quali è stato chiesto di segnalare quali siano le aziende che riscontrano maggiore interesse nei rispettivi campus. Alle aziende citate è stato poi inviato un questionario chiedendo di indicare stipendio, benefit, formazione e programmi specifici dedicati ai talenti i cui dati sono poi stati comparati con quelli delle altre aziende nello stesso settore. E infine è stata presa in considerazione la classifica sulle aziende preferite nelle quali lavorare elaborata da Universum Communications per il mercato americano.

Al di là del sistema utilizzato per elaborare la classifica, il dato interessante che emerge dall'indagine è che le aziende oggi si trovano a competere per i migliori talenti non solo con i competitor dello stesso settore merceologico, ma anche con gli altri. E' infatti emerso che la nuova generazione di studenti universitari americani è mentalmente più aperta rispetto alle precedenti e maggiormente disposta a sperimentare percorsi di carriera diversi. Può capitare così che aziende come appunto Goldman Sachs si trovino a competere nella ricerca dei talenti nella stessa arena competitiva di Google, Lockheed Martin Corporation o Boston Consulting Group.

La nuova generazione che sta per affacciarsi al mercato del lavoro, che negli Usa definiscono i Millennials, è più ansiosa di avere feedback sulla propria attività e impaziente di avere un impatto sull'organizzazione della quale entra a far parte. Più abituati al networking delle precedenti generazioni, grazi anche a fenomeni come Facebook e MySpace, i ragazzi di questa generazione hanno più familiarità con gli skill richiesti dalle grandi aziende, sanno usare meglio le applicazioni informatiche e sono più predisposti a lavorare in team, ma al tempo stesso, grazie anche al passaparola, sono più smaliziati e in grado di valutare meglio le offerte delle aziende. E questo provoca allora una risposta che va verso la garanzia di salari e benefit più competitivi unitamente ad una richiesta di maggiroe responsabilità e di un persorso di carriera più veloce con i rischi che questo meccanismo può comportare.

Secondo WetFeet una società di ricerca e di consulenza di San Francisco, il numero delle persone alla ricerca del primo impiego che hanno ricevuto più di una offerta di lavoro è costantemente aumentato negli ultimi 5 anni negli Usa e l'82 per cento di loro si dichiara certo di riuscire a scegliere il lavoro che più gli piace. E questa competizione sta facendo lievitare anche i salari d'ingresso: lo stipendio medio di un giovane laureato nel settore dell'accounting è cresciuto del 5,5 per cento a 45.656 dollari, mentre quello di un ingegnere, sempre al primo impiego, è cresciuto del 5,4 per cento a 46.023 dollari.

Così come tra le prime 25 aziende citate nella classifica, ben 21 offrono programmi di formazione e di training per migliorare le proprie competenze professionali e accelerare il percorso di carriera perchè, come riportato dal survey, i giovani laureati oggi nel guidicare un'offerta valutano molto più con attenzione il percorso professionale che gli viene offerto e in che modo l'azienda, con adeguati percorsi di formazione, investa sulle loro capacità e competenze. Insomma i parametri fondamentali su cui si basa l'attività di campus recruiting, di attraction dei talenti e di promozione dell'employer branding sono destinati a cambiare e per certi versi stanno già cambiando. Vedremo successivamente come.






Di seguito la classifica di Business Week sulle migliori 100 aziende nelle quali iniziare la propria carriera, edizione 2008: Business Week, Best Places to Launch a Career

giovedì 18 settembre 2008

Lavoro: diminuisce la fiducia tra diplomati e laureati.

L’Italia è in recessione. A lanciare l’allarme è Confindustria, che vede nero per l’economia della penisola. Il Centro Studi dell’associazione degli industriali prevede infatti per il 2008 un calo del Pil dello 0.1%. Un risultato che sarebbe in forte contrazione rispetto all’aumento del prodotto interno lordo del’1,5% registrato nel 2007 e che farebbe quindi parlare di recessione. La terza per l’Italia dal dopoguerra, dopo quella del 1975 e quella del 1993. Il quadro è drammatico ha detto ieri il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia nel corso della presentazione del rapporto per sintetizzare e riassumerne i risultati, sebbene a ben guardare, le stime presentate da viale dell’Astronomia non siano intrise di pessimismo: l’ufficio studi dell’associazione degli industriali ritiene infatti che, archiviato il 2008 con un Pil ad un -0,1%, nel 2009 l’attività produttiva riprenderà e dopo un primo trimestre ancora negativo (-0,4%) l’anno dovrebbe chiudersi con un ritmo di sviluppo più vivace al +1,4%.

Se questo è il contesto nel quale ci muoviamo, non sorprende allora che il tasso di fiducia nel lavoro sia ulteriormente peggiorato tra diplomati e laureati italiani. Il numero di coloro che ritengono che oggi sia più facile trovare lavoro rispetto a sei mesi fa scende all’11,3% rispetto al 12,8% di un anno fa e aumenta sensibilmente il numero di persone che ritengono invece sia molto più difficile, il 39,2% rispetto al 36,2 per cento del 2007.

Insomma che lo si abbia o che lo si cerchi, l’impiego è ancora grave motivo di inquietudine e la maggioranza degli italiani pensa che trovarne uno nei prossimi mesi sarà sempre più difficile. Se infatti nel 2007 il 13,7 per cento degli intervistati intravedeva una speranza nel futuro, quest’anno è solo il 12,1 per cento a considerarsi ottimista sulla possibilità di trovare un nuovo impiego o cambiare l’attuale nei prossimi sei mesi, mentre la percentuale dei pessimisti sale dal 34,9 per cento del 2007 al 37,6 per cento del 2008.

Sono queste in buona sintesi i dati relativi alla fiducia nel lavoro emersi dall’analisi delle risposte dei 5.040 intervistati che hanno partecipazione all’edizione 2008 dell’indagine "Best 100, le aziende preferite dagli italiani" che, tra le altre, rileva anche l’andamento della fiducia di studenti e professional sulle prospettive di impiego e di carriera. Come abbiamo in passato già avuto modo di sottolineare infatti l’analisi dell’andamento del tasso di fiducia nel lavoro è uno dei parametri che chi si occupa non solo di employer branding in azienda ma anche più in generale chi si occupa di risorse umane deve tenere in considerazione perché è un dato che fornisce indicazioni sullo stato d'animo dei potenziali candidati ai quali sarà diretta la comunicazione dell’employer value proposition aziendale. Una forte sfiducia nella possibilità di trovare lavoro, porterà come conseguenza la ricerca da parte di coloro che la esprimono di aziende che siano in grado di assicurare principalmente la sicurezza del posto di lavoro. Ma non è detto che siano questi i candidati corretti per la mia azienda. E allora capire come viene interpretata l’azienda da parte di questi candidati può risultare una ulteriore informazione da tenere in considerazione per comprendere come si posiziona l’employer brand aziendale nello scenario competitivo del mondo del lavoro, anche rispetto ai competitor più diretti. Se scopro che il profilo del candidato che attualmente vorrebbe lavorare nella mia azienda mira alla sicurezza del posto di lavoro e ad un buon equilibrio tra lavoro e vita privata mentre il candidato che vorrebbe lavorare presso un mio competitor è una persona che ricerca la sfida, la competizione e la possibilità di crescita professionale, probabilmente dovrò fare una seria riflessione sul posizionamento della mia azienda nel mercato del lavoro e, soprattutto, sulla mia probabile incapacità di attirare le persone più cariche di valore.

Di estremo interesse poi l’analisi della fiducia nel lavoro per area geografica che riporta una fotografia istantanea della condizione del lavoro e dell’occupazione nel nostro Paese. Infatti, mentre al Nord, che ha il tasso di disoccupazione più basso in assoluto in Italia con il 4 per cento (fonte: Istat, rilevazione sulla forza lavoro in Italia, I trimestre 2008), la percentuale di persone persone che ritengono sia oggi più semplice trovare lavoro è del 18 per cento in crescita di un punto rispetto all’anno precedente, al Centro ma soprattutto nel Sud si è più pessimisti.

L’indice di sfiducia che è del 39,2 per cento su base nazionale al Centro è del 42,3 per cento mentre al Sud, che con un tasso di disoccupazione del 13 per cento è la maglia nera italiana, arriva a superare il 47 per cento con punte di particolare disagio economico e sociale in regioni come la Calabria, che si conferma anche per il 2008, la regione con il maggiore indice di sfiducia della penisola, con il 67,7 per cento degli intervitati che vede nera la possibilità di trovare un’impiego. Sono dati particolarmente significatici e che riferiti al sud diventano particolarmente drammatici se analizzati in merito alla sola componente femminile dove non è tanto indicativo il tasso di disoccupazione, pari al 17,4 per cento quanto il tasso di inattività che nel Mezzogiorno è pari, per le donne, al 62,9 per cento testimoniando tutta la difficoltà di entrare a far parte a pieno titolo nel mercato del lavoro.

D’altra parte è anche vero che nel Mezzogiorno potremmo avere a fine anno fino a 20 mila nuovi occupati in meno di quanto preventivato ad inizio anno. A lanciare l’allarme occupazione al sud è stato lunedì scorso 15 settembre il segretario generale di Unioncamere Giuseppe Tripoli, durante la prima giornata di presentazione dei dati del sistema informativo Excelsior sulla formazione e l’occupazione, messo a punto dal ministero del Lavoro e dall’Unione delle Camere di Commercio, dal quale emerge come le grandi imprese registrino quest’anno una diminuzione del numero di occupati pari allo 0,2% e che, se vogliamo un po’ a sorpresa, a reggere il ritmo delle assunzioni in Italia nel 2008 sono soprattutto le piccole e medie imprese che confermano infatti la creazione di circa 100 mila nuovi posti di lavoro (+1,5%). Quanto ai settori, l'occupazione continuerà a crescere soprattutto nei servizi (+1,3 per cento) e meno nell'industria (+0,6 per cento).

Per il presidente di Unioncamere, Andrea Mondello l'indagine conferma che il nostro sistema produttivo nel suo complesso ha la volontà di reagire alle crescenti difficoltà congiunturali. Resta però ancora grande lo spazio da colmare tra i suoi fabbisogni di capitale umano di qualità e il sistema della formazione.

E proprio quello della formazione è l’altro grave problema che è emerso dal rapporto Excelsior. In particolare si è parlato di un sistema della formazione soprattutto universitaria che sembra disorientare le imprese al punto che queste ultime riconoscono sempre meno valore ai titoli formali. I 2.500 corsi di laurea esistenti pochi anni fa sono diventati 5.500 e questo confonde le aziende che non riescono più a misurare le reali competenze acquisite dai giovani. Di fronte a questa situazione, ha dichiarato Giuseppe Tripoli, non possiamo stupirci del fatto che il sistema produttivo, nel momento in cui ha bisogno di reperire nuovo personale, si rivolga prioritariamente ai canali non formali, come quello della segnalazione da parte di altre persone. E in effetti i contatti personali risultano essere la terza modalità più usata per la ricerca di lavoro prima ancora degli annunci di rpq sui quotidiani, con il 48,7 per cento tra i 5.040 intervistati dell’indagine 2008 della "Best100, le aziende preferite dagli italiani" che dichiara di preferire i contatti diretti come modalità di ricerca di nuove opportunità professionali.

Lavoro: i paradossi del calo della disoccupazione.

In tema di lavoro, vi segnalo un articolo di Tito Boeri apparso su Affari&Finanza di La Repubblica del 15 settembre 2008.

“Negli ultimi dieci anni in Europa la disoccupazione è scesa notevolmente, anche quella di lunga durata. Eppure, i sondaggi evidenziano un crescente malcontento per le condizioni di lavoro. Perché? Le riforme degli anni Novanta hanno creato un mercato del lavoro a due velocità, che produce pesanti asimmetrie nelle carriere, con tutti i rischi concentrati sulle spalle degli assunti con contratti atipici. La risposta non è un ritorno al passato, ma una decentralizzazione maggiore delle negoziazioni salariali, legando gli stipendi alla produttività.
In Europa si è realizzato un vecchio sogno, che però si sta trasformando sempre più in un incubo. Il sogno era descritto nel Trattato di Roma del 25 marzo 1957: “La Comunità ha il compito di promuovere nell'insieme della Comunità, (…), uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale (…), un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri”.


IL SOGNO EUROPEO REALIZZATO...
Nell'ultimo decennio in Europa la disoccupazione è scesa a un livello mai visto da venticinque anni a questa parte. Oggi, nell’Europa dei 15, vi sono quasi 4 milioni di disoccupati in meno che nel 1996. Anche la disoccupazione di lunga durata è quasi dimezzata: negli anni Novanta, la metà di coloro che cercavano lavoro restava disoccupata per oltre un anno, ora non accade più.Non è l’effetto collaterale di una mancata partecipazione al mercato del lavoro, ma rispecchia l’aumento del tasso medio di occupazione nei 15 paesi membri, cresciuto del 6 per cento negli ultimi dieci anni. È, del resto, l’unico settore in cui vengono rispettati gli ambiziosi obiettivi di Lisbona. È drasticamente diminuito anche il numero di coloro che sono eternamente in bilico tra occupazione e disoccupazione e che, stufi e frustrati, smettono addirittura di cercare un lavoro, convinti che per loro non esistano possibilità.Sono proprio quei paesi in cui inizialmente si registrava un tasso di disoccupazione più elevato, che hanno ottenuto il calo più sensibile.Indagini cross-section sui tassi di disoccupazione dell’Europa dei 15 (Nuts II) mostrano che la dispersione dei tassi di disoccupazione tra settori nelle regioni europee è fortemente diminuita come risultato di una riduzione della varianza sia tra paesi che all'interno dei paesi.E questo è senz’altro un progresso sul cammino di quella coesione sociale, auspicata dai governi sin dal trattato di Roma del 1957. Le condizioni del mercato del lavoro delle regioni europee sono, del resto, sempre meno differenziate.

…SI TRASFORMA IN UN INCUBO
I governi europei non hanno tuttavia capitalizzato i successi ottenuti sul mercato del lavoro. Proprio quei governi e quelle coalizioni che hanno reso possibile la creazione di milioni di posti di lavoro non sono stati riconfermati dagli elettori. Il governo Berlusconi del 2001-2006 ha creato 1,3 milioni di posti di lavoro in cinque anni, ben più di quanti promessi in campagna elettorale. Il che non gli ha tuttavia evitato il crollo di popolarità e la conseguente sconfitta alle elezioni del 2006. Il governo Prodi del 2006-2008 ha avuto una vita molto breve, nonostante abbia creato in meno di due anni 400mila nuovi posti di lavoro. José Maria Aznar, nel 2004 ha perso le elezioni spagnole nonostante avesse dimezzato la disoccupazione e creato quasi 5 milioni di posti di lavoro durante il suo mandato.I sondaggi evidenziano anzi un crescente malcontento per le condizioni di lavoro, proprio in quei paesi che hanno registrato la riduzione più significativa dei tassi di disoccupazione.

PERCHÉ?
Perché il sogno europeo si è trasformato in un incubo? La spiegazione più semplice potrebbe essere che il calo della disoccupazione sia dovuto a un fenomeno demografico, e che non dipenda dai cambiamenti dei livelli di occupazione di determinati gruppi socio-economici. In Europa la popolazione invecchia e sono soprattutto i giovani, più dei vecchi, a sperimentare il dramma della disoccupazione. Un’Europa che invecchia potrebbe, di conseguenza, evidenziare un basso tasso di disoccupazione semplicemente perché è cambiata l’età della sua forza lavoro. Tuttavia, questa semplice spiegazione non è sufficiente: può, al massimo, spiegare una minima parte, forse un decimo, del calo della disoccupazione, che si è verificato in tutte le fasce d’età. Neanche l’altro importante fenomeno demografico avvenuto in Europa nell’ultimo decennio, l’immigrazione su larga scala, riesce a spiegare esaurientemente l’enorme diminuzione del tasso di disoccupazione. Caso mai dovrebbe essere il contrario: un maggior numero di immigrati avrebbe dovuto incrementare il numero dei disoccupati. In effetti, il tasso di disoccupazione è più elevato tra gli immigrati che tra i nativi dell’Europa dei 15.Per capire cosa è avvenuto in Europa e perché, paradossalmente, i suoi cittadini sono scontenti, nonostante la sensibile riduzione della disoccupazione, dobbiamo andare al di là dei dati di stock del mercato del lavoro e osservarne i flussi.La prima cosa da notare è che la disoccupazione è diminuita nonostante l’aumento dei flussi della disoccupazione in entrata (flussi calcolati rispetto alla popolazione a rischio, cioè popolazione in età di lavoro meno i disoccupati). In altri termini, è stato principalmente l’aumento dei flussi della disoccupazione in uscita che ha determinato il calo della disoccupazione in Europa. In secondo luogo, si può notare un aumento di mobilità della forza lavoro tra gli Stati europei, che risulta evidente, dividendo gli indici di mobilità per le matrici di transizione, che mappano i flussi attraverso i mercati del lavoro dei principali paesi. Degno di nota il fatto che l’incremento della mobilità è stato più forte nei paesi in cui il calo della disoccupazione è risultato più marcato.

SONO STATE LE RIFORME
La situazione del mercato del lavoro in Europa appare oggi ben diversa dalle condizioni sclerotiche dei primi anni Novanta. Nel 1994 il Jobs Study realizzato dall'Ocse, un autorevole rapporto commissionato dal G7, affermava: “Nella rigida Europa (…) l’elevata incidenza di disoccupazione di lunga durata è collegata con i bassi flussi della disoccupazione in entrata”.Perché è avvenuta quest’inversione di rotta, che ha trasformato un’Europa rigida in un’Europa mobile? Il fattore che ha determinato l’aumento dei flussi del mercato del lavoro sembra essere stato quello delle riforme della legislazione in tema di protezione del lavoro. Durante gli anni Novanta le riforme più importanti hanno ridotto il costo dei licenziamenti: mentre nel periodo 1986-90 vi erano state, nell’Europa dei 15, solo quattro riforme in materia, tra il 1996 e il 2000 ne sono state realizzate ben sedici. Gran parte di queste riforme sono state marginali: si sono limitate a ridurre la protezione del lavoro per i nuovi assunti, aumentando così il numero dei contratti a tempo determinato e introducendo nuove forme di contratti atipici, più flessibili. Ciò ha radicalmente trasformato le condizioni di ingresso nel mondo del lavoro. Nei paesi dove esistono norme severe, che regolamentano il licenziamento di lavoratori assunti a tempo indeterminato, gran parte delle nuove assunzioni viene fatta ricorrendo ai contratti atipici, molto flessibili. Per esempio, in Spagna, il passaggio dalla disoccupazione al lavoro di 9 persone su 10 avviene con contratti a tempo determinato. L’aumento dei flussi in uscita dalla disoccupazione è, in Europa, ampiamente collegata a queste nuove forme di assunzioni.Il guaio è che invece di essere solo un modo diverso per entrare nel mondo del lavoro, questi contratti sfociano facilmente in un binario morto: la probabilità che, nel giro di un anno, il contratto a tempo determinato si trasformi in un contratto a tempo indeterminato è invero molto bassa, nell’ordine di 1su 20 o 1 su 10. In altri termini, queste riforme hanno creato un mercato del lavoro a due velocità, che produce pesanti asimmetrie nelle carriere, con tutti i rischi concentrati sulle spalle degli assunti con contratti atipici. Basandosi sulle matrici di transizione si può prevedere che, in futuro, fino a un terzo delle assunzioni avverranno con contratti flessibili.

IL NUOVO MERCATO DEL LAVORO
Il malcontento degli europei verso le nuove regole del mercato del lavoro dipende strettamente da questa nuova, apparentemente meno favorevole, combinazione rischi-benefici. Il mercato del lavoro sta diventando più rischioso, il che significa perdita di benessere per i lavoratori che sopportano tale rischio, a meno che quest’ultimo non venga compensato da rilevanti benefici. Ovunque in Europa si registrano crescenti pressioni, affinché lo Stato si impegni seriamente a difendere i salari. Pressioni che possono anche essere interpretate come richieste di compensazione, perché nessuno può dire di sentirsi completamente protetto. Persino gli insider ormai temono di poter perdere il loro lavoro.Vi sono forti pressioni affinché si torni indietro. Ma dopo aver ridotto la partecipazione dello Stato nella difesa del lavoro, sarebbe un errore permettere ai governi di intervenire nelle negoziazioni salariali. Ciò che ha fatto recentemente la Germania, vale a dire imporre salari minimi, specifici per i diversi settori, espone i governi al rischio di pressioni sempre più insistenti da parte delle lobby nazionali e al pericolo di un’escalation di sfide concorrenziali tra le aziende. E non esistono ragioni di sorta per reintrodurre una politica dei redditi, sia pur in forma blanda, come quella adottata da molti paesi europei in vista dell'ingresso nell’Unione monetaria. Una politica centralizzata dei redditi non è, in effetti, uno strumento appropriato nell’ambito dell’Unione Europea, perché gli choc macroeconomici sono, per loro natura, più regionali o settoriali. È il motivo per cui il sistema di relazioni industriali, basato su organizzazioni sindacali nazionali, non è adatto per affrontare la nuova domanda microeconomica di flessibilità.La miglior risposta che si può offrire alle paradossali preoccupazioni dimostrate dagli europei nei confronti del calo della disoccupazione è quella di decentralizzare ancora di più le negoziazioni salariali, legando gli stipendi alla produttività. Certo, aumenta il rischio, perché il passaggio da un impiego all’altro comporta, in genere, una forte perdita salariale, mentre i contratti collettivi nazionali prevedono scatti automatici. Cambiare lavoro o restare per qualche tempo disoccupati significa, in quest’ottica, non riuscire a migliorare il proprio reddito. Si possono, però, proporre buone combinazioni rischi-benefici, collegando strettamente i salari alla produttività settoriale. Se il cambio di lavoro comportasse l’ottenimento di buoni risultati, ecco che il passaggio da un impiego all’altro aumenterebbe il reddito invece di diminuirlo.Allo stesso tempo, è assolutamente necessario far qualcosa per neutralizzare il crescente dualismo tra lavoro a tempo determinato e quello a tempo indeterminato, presente in quasi tutti i mercati del lavoro europei. Costa molto caro alla società perché disincentiva dall’accumulare capitale umano: non si investe, infatti, nella formazione dei lavoratori con contratto a termine, altrettanto quanto in quella dei dipendenti. Sarebbe auspicabile mettere in atto una politica che offrisse reali prospettive di carriera ai giovani, riformando le leggi di protezione del lavoro. Oggi, quando scade un contratto a termine, non esistono prospettive di lungo respiro. I governi dovrebbero promuovere una legislazione che preveda il graduale inserimento definitivo del giovane, eliminando così l’esistenza di un mercato del lavoro a due velocità. Sarebbe opportuno introdurre garanzie, sotto forma di indennità, che dovrebbero aumentare con l’età, qualora il lavoratore abbia prestato la sua opera con una certa continuità.

DESTARSI DALL’INCUBO
E infine, se gli europei sono scontenti, nonostante il calo della disoccupazione, ciò è dovuto anche al fatto che a maggior occupazione non corrisponde maggior produttività, ma anzi il contrario: più cresce l’occupazione, più cala la produttività. E ciò non permette ai lavoratori di guadagnare di più, nonostante i maggiori rischi cui sono esposti. L’Europa, infatti, accusa un forte ritardo nel cammino delle riforme del mercato del lavoro. I governi devono assolutamente resistere alle pressioni, sempre più insistenti, affinché si ritorni ai vecchi sistemi, che avrebbero effetti deleteri sull’occupazione; per aumentare occupazione e produttività bisogna abbandonare i vecchi schemi e fare esattamente il contrario. Ormai, l’Europa è in mezzo al guado e deve a tutti i costi raggiungere l’altra riva, introducendo sistemi che assicurino impieghi più stabili, ma decentralizzando le negoziazioni, per legarle sempre più alla produttività.”

Il lavoro è solo flessibile. Al sistema seve flexicurity” di Tito Boeri, Affari&Finanza de La Repubblica del 15 settembre 2008.

martedì 16 settembre 2008

Employer branding: l'inarrestabile discesa della carriera in banca.

Tutti i quotidiani di oggi, finanziari e non, riportano in grande evidenza di come la Federal Riserve abbia lasciato al suo destino la quarta banca d’affari americana, uno dei marchi più prestigiosi della finanza a stelle e strisce, la Lehman Brothers che ieri ha chiesto l’ammissione al Charter 11, ovvero alla procedura di fallimento. La notizia choc ha fatto il giro del mondo, insieme alle cifre impressionanti del più grande crac della storia: 613 miliari di dollari di debito conosciuto, circa dieci volte quello della Enron.

Il fallimento di Lehman Brothers non è solo lo sviluppo della crisi dei mutui immobiliari americani ad alto rischio, che ha portato al salvataggio di Bear Stearn da parte della Fed, poi all’assunzione diretta da parte del tesoro americano dei rischi su 5 mila miliardi di mutui di Fannie e Freddie. Il fallimento di Lehman è la sparizione di uno dei nomi storici dell’investment banking americano e mondiale. E avviene mentre un altro di questi colossi storici, Merril Lynch, prima casa di brokeraggio finanziario americana, viene rilevato da Bank of America prima che sprofondi a propria volta, mentre AIG, il colosso assicurativo americano, ha a sua volta ha chiesto aiuto al Tesoro.

Per il mondo delle banche e della finanza è una nuova doccia fredda, che si ripercuoterà sui segni già evidenti di frenata dell’economia reale. La crisi finanziaria più grave da un secolo l’ha definita l’ex banchiere centrale Alan Greenspan. L’Europa, dal canto suo, che già si muoveva al rallentatore non aveva bisogno certo di questa ulteriore frenata – sono 6.000 i dipendenti del colosso americano che resteranno a casa in Europa - mentre già si scommette su quale possa essere la prossima vittima tra le banche europee.

L’impatto, almeno per il momento, sulle attività di casa nostra sembra limitato, anche se fa riflettere la dichiarazione dell’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo che si è detto preoccupato dell’impatto che la bancarotta di Lehman potrà avere sull’intero sistema finanziario.

Questa lunga premessa non tanto perché oggi abbia deciso di stravolgere la natura del blog occupandomi di finanza piuttosto che di capitale umano, quanto perché mi preme mettere in evidenza come, puntualmente, fasi e squilibri dell’economia, abbiano le loro ripercussioni anche sul tema del quale in questo contesto si parla, ovvero sull’appetibilità delle aziende come employer di riferimento.

Ancora una volta infatti il mondo delle banche e più in generale della finanza esce penalizzato dai risultati dell’indagine 2008 della Best100, segno evidente che esiste un legame molto stretto tra accadimenti aziendali e orientamento al lavoro, che dimostra probabilmente una maturità del mercato del lavoro, riferita alla capacità di studenti e professional di orientarsi nel mondo del lavoro, più elevata di quella che normalmente ci si potrebbe aspettare. Il mondo della finanza insomma è la cartina al tornasole di come diplomati e laureati siano in grado di orientare le proprie preferenze verso aziende che operano in segmenti più solidi, penalizzando invece quelle che operano in un contesto più a rischio.

E a rischio è dovuta sembrare oggi, ai 5.040 intervistati dell’indagine 2008, una carriera nel settore della finanza. Sono solo 5 su un totale di 793, gli istituti di credito citati tra le prime cento aziende maggiormente ambite nelle quali lavorare, segno evidente di un malessere che attanaglia quello che una volta era la professione sognata da milioni di italiani, un lavoro in banca. Fu così anche nell'indagine 2004 dopo gli scandali Cirio e Parmalat che che l'anno prima coinvolsero alcune tra le maggiori banche italiane e che mise in ginocchio non solo tanti risparmiatori, ma anche l’employer brand degli istituti bancari più coinvolti. Ma se allora, di fronte alla debacle interna si cercava un'alternativa guardando fuori, ai grandi gruppi bancari internazionali, oggi non è più così. Insomma il mitico posto in banca, già per certi versi appannato da qualche anno, per il 2008 sembra essere definitivamente tramontato negli obiettivi di carriera di diplomati e laureati, per i quali, le banche perdono sempre più appeal.

Tra i 5 gruppi bancari presenti all’interno della classifica delle prime 100 aziende maggiormente ambite nelle quali lavorare Unicredit, che conquista la palma d’oro di azienda preferita di settore, scende di un gradino, dalla 13^ alla 14^ posizione in classifica generale, Intesa San Paolo che perde maggiori consensi scendendo al 19° posto dalla 12^ posizione dello scorso anno mentre il Monte dei Paschi di Siena passa dalla 72 posizione alla 79.

Unico caso in controtendenza sembra essere quello del gruppo Bnl Bnp Paribas che capitalizzando il nuovo corso post acquisizione proietta la banca in 36^ posizione rispetto alla 61^ dello scorso anno e in certa misura dell’accoppiata Mediobanca-Generali, nuovo ingresso la prima al 93° posto e prima e unica azienda del settore assicurativo presente nella classifica delle 100 aziende maggiormente ambite la seconda.

Certo, a molto hanno contribuitoanche le maxi aggregazione realizzate negli ultimi due anni, Unicredit-Capitalia, Intesa-San Paolo, Bpu-Banca Lombarda, Mps-Antonveneta, Popolare di Verona-Bpi, che hanno generato complessivamente 14 mila esuberi su un totale di quasi 340 mila addetti, con fuoriuscite che anche se sempre volontarie e incentivate, hanno comunque minato il clima di fiducia nel settore.

Ad incrementare la perdita di appeal anche la moderazione salariale che ha registrato il settore negli ultimi anni, che se ha contribuito a ridurre lo svantaggio competitivo con gli altri Paesi europei, come riconosce la stessa Abi, ha accentuato dall’altra quella sensazione di declino che si è fatta largo nella categoria per effetto delle trasformazioni dell’ultimo decennio, come l’informatizzazione dei sistemi, la diffusione dell’home banking, i mutamenti introdotti nell’organizzazione del lavoro, soprattutto ml’adozione di sistemi incentivanti di retribuzione, con una parte variabile legata agli obiettivi sempre più preponderante, che hanno avuto un forte impatto sulla qualità della vita allo sportello.

Le origini di questo malessere nei lavoratori vanno ricercate poi nella scarsa valorizzazione della propria esperienza che un istituto bancario oggi è in grado di offrire ai propri dipendenti, nell’esclusione dai momenti decisionali, sempre più sentita con lo spostamento dei centri decisionali dovuto alle aggregazioni, nell’assenza di criteri di carriera univoci, nel ritmo e lnella pressione lavorativa legati allo stress da performance. Insomma i bancari si sentono sempre più passacarte e sempre più intercambiabili. Quasi operai in una catena di montaggio virtuale, in cui non è più importante la competenza e il rapporto con il cliente ma dove conta il budget, il risultato.

E’ da questi spunti che il mercato del credito deve ripartire se vuole intraprendere un’azione volta a recuperare l’immagine del settore e del lavoro ad esso associato, tappa necessaria per fermare quel declino verso questo tipo di carriera che sembra segnare diplomati e laureati senza alcuna distinzione.

L’analisi del settore in termini di appetibilità dell’employer value proposition che è in gardo di offire oggi a studenti, neolaureati e professional, individua una categoria a rischio di estinzione. Nell’immaginario collettivo non c’è più il sogno del posto in banca, quell'impiego ambitissimo perché assicurato a sicurezza e privilegi, un lavoro facile e uno stipendio prestigioso con quattordicesima e quindicesima, pomeriggio libero e settimana corta, premi e benefit da favola. Tutto questo ormai è acqua passata. E le domande di esodo da parte dei lavoratori del settore che arrivano a superare di gran lunga il numero atteso dai piani industriali sia per Unicredit che per Intesa San Paolo, per fermarsi solo alle due più grandi realtà italiane, sono la spia più tangibile di un malessere che non può essere trascurato, pena la sempre minore appetibilità di un impiego nel settore da parte delle giovani leve e sempre maggiori costi da parte delle aziende per ricercare e sostituire il personale mancante, soprattutto quello di sportello, in rapporto al quale non è per nulla facile riuscire a differenziare l'offerta di un gruppo da quella di un'altro, con il rischio evidente di un ulteriore appiattimento verso il basso dell'identità di una professione che è mutata molto negli ultimi anni.

mercoledì 3 settembre 2008

Best100, 2008: la classifica.

Ferrari e Barilla si riconfermano le aziende preferite dagli italiani, quelle nelle quali, potendo scegliere, si vorrebbe lavorare, in un contesto più generale nel quale le preferenze vanno sopratutto verso le grandi aziende dell'industria e del largo consumo, quelle per intenderci che affiancano ad un brand di prestigio anche un business solido in grado di assicurare la certezza del posto di lavoro che continua a rimanere una delle prime fonti di preoccupazione per gli italiani. Sono questi in estrema sintesi i principali risultati che emergono dall'analisi delle risposte dei 5.040 intervistati che hanno partecipato all'indagine 2008 della Best100, le aziende preferite dagli italiani, realizzata da PeopleValue e giunta quest'anno alla sua VII edizione.

La Ferrari conquista il podio assoluto grazie al plebiscito di consensi che ottiene da parte della popolazione maschile, mentre Barilla ottiene la conferma del suo secondoposto sopratutto grazie all'attrazione del suo employer brand verso la popolazione femminile che la eleggono azienda preferita dalle donne. Eni conquista il terzo posto scalzando la Fiat che risulta in leggera flssione, al quinto posto, in linea con le generali difficoltà che incontra in questo momento, anche a livello industriale, tutto il comparto dell'automotive.

Al quarto posto sale Microsoft rispetto al settimo della passata edizione che conquista il podio di azienda più ambita del settore dell'Information Technology, vincendo il duello con Google che pur conquistando una posizione si ferma al quindicesimo posto nelle preferenze di studenti e professional.

Al sesto e settimo posto due aziende del settore del largo consumo, Procter&Gamble, che perde una posizione rispetto all'edizione dello scorso anno e Ferrero che invece ne conquista una, seguite da Enel all'ottavo posto, Mediaset al nono e Vodafone al decimo.

Il settore finanza registra quest'anno una complessiva perdita di consensi, con il gruppo Unicredit che conquista la leadership di settore però al quattordicesimo posto quindi in flessione rispetto alla dodicesima posizione dello scorso anno, davanti a Intesa San Paolo che invece perde consensi, passando dalla dodicesima posizione alla diciannovesima di quest'anno. Le uniche due realtà di settore in controtendenza appaiono Generali, in crescita al trentaduesimo posto rispetto al quarantaquattresimo dello scorso anno e il gruppo Bnl Bnp Paribas che sale dal sessantunesimo al trentaseiesimo posto nella classifica delle aziende maggiormente ambite nelle quali lavorare, indice che la cura francese ha, almeno per quanto riguarda l'employer branding aziendale, lasciato il segno.

I consensi maggiori vanno come già anticipato alle grandi multinazionali che operano nei settori dell'industria, con una sorpresa targata Finmeccanica, che passa dal trentaduesimo al ventiquattresimo posto, e da alcune sue controllate che acquistano posizioni o entrano di prepotenza nella classifica delle aziende maggiormente ambite nelle quali lavorare, come Alenia Aeronautica, al quarantaquattresimo posto riespetto al settantacinquesimo della passata edizione o Agusta Westland, nuovo ingresso in settantaseiesima posizione.

Nel mondo della consulenza la palma d'oro di azienda più ambita va a Mckinsey&Company, al ventunesimo posto rispetto al ventottesimo dello scorso anno, davanti ad Accenture, al ventiduesimo posto rispetto al ventiseiesimo della passata edizione. Molto più distanziate altre realtà come Kpmg, quarantacinquesima posizione, Deloitte, sessantottesima, PWC ed Ernst&Young rispettivamente in ottantaduesima e ottantatreesima posizione.

Bene anche le performance delle aziende che operano nei settori dell'alimentare e del largo consumo e che vedono oltre alle già citate Barilla, Procter&Gamble e Ferrero, realtà quali Coca Cola, che sale dal venticinquesimo all'undicesimo posto, Nestlè al dodicesimo posto, Unilever sedicesimo e L'Orèal al diciottesimo.

Una generalizzata perdita di appeal invece registrano, forse in linea con l'attuale difficoltà che registra il ciclo economico mondiale, le aziende che operano nei settori della moda e del lusso, così pure le aziende del comparto farmaceutico, forse perchè, almeno per quanto riguarda l'Italia non si fa ormai quasi più ricerca e innovazione nel settore.

Da segnalare come nuovi ingressi Samsung in quarantaseiesima posizione e Piaggio in sessantatreesima.

Best100, le aziende preferite dagli italiani.
VII edizione - anno 2008
Rank / Azienda / Preferenze
1. Ferrari 12,98%
2. Barilla 8,27%
3. Eni 7,08%
4. Microsoft 6,49%
5. Fiat 5,06%
6. Procter&Gamble 4,40%
7. Ferrero 4,35%
8. Enel 4,23%
9. Mediaset 3,75%
10. Vodafone 3,51%

Vedi la classifica completa della Best100, edizione 2008.
Vedi il campione statistico relativo alla Best100, edizione 2008.






Vai allo speciale Best100 di Job 24 Il Sole 24 Ore:
Lavoro e classifiche: il posto dei sogni è alla Ferrari o in Barilla
Glamour e solidità: nella top list di uomini e donne i nomi cambiano




Best100, 2008: Ferrari ancora sul podio.

Anche per il 2008 è la Ferrari a salire sul podio dell'azienda preferita dagli italiani, quella nella quale, potendo scegliere, si vorrebbe andare a lavorare.

Ma qul è il segreto dell'azienda di Maranello? Perchè a giustificare la fama della Ferrari non bastano le vittorie in Formula 1 ne la passione di decine di migliaia di tifosi. Il segreto parte dalle tute degli operai del Cavallino, rigorosamente rosse, che un migliaio di artigiani del lusso non toglie mai: operai, collaudatori e magazzinieri entrano in fabbrica e tornano a casa in tenuta da lavoro. Ed è proprio in questo spettacolare spirito di squadra, più che nella bellezza delle auto o nelle vittorie sportive, il fascino della Ferrari.


La vera forza dell'azienda, che gode del vantaggio di avere un brand che da solo trasmette una grande emotività, è all'interno dei cancelli, dove la dimsnione industriale lascia spazio all'architettura, al design, alla ricerca continua di soluzioni di benessere per chi lavora. I capannoni sono sostituiti da luminosi padiglioni climatizzati; piante e giardini intercalano le linee di montaggio e le auto più belle sono presenti in ogni reparto per ricordare a tutti, anche a chi si occupa del più ripetitivo dei lavori, qual è il risultato finale della sua attività.

Un bel posto in cui lavorare e un'estrema attenzione ai dipendenti sono i due pilastri della famosa Formula Uomo, il programma voluto dal suo presidente, Luca Cordero di montezemolo al suo arrivo in ferrari nel 1991, che comprende check up medici gratuiti, formazione, un villaggio dedicato al personale, palestre, mense a misura di ristorante e tanto altro, tutto pensato nell'ottica di creare un buon posto in cui lavorare per tutti i poco più di duemila dipendenti dell'azienda, dove la parola d'ordine è una sola: innovazione e coinvolgimento dei dipendenti, anche nelle soluzioni aziendali, dal momento che i collaboratori sono incoraggiati a suggerire soluzioni ai problemi di produzione e di organizzazione.

martedì 22 luglio 2008

Employer branding: il vero valore dei social network.

Per le aziende e, sopratutto, per gli uomini delle risorse umane la sfida è capire come sipossa entrare in relazione con i propri potenziali futuri collaboratori di talento.

I social network intesi come sistema di relazione tra persone, sono sempre esistiti. Le nuove piattaforme digitali come Facebook, MySpace o strutture verticali come LInkedIn, li rendono espliciti, oggettivi. Consentono di formalizzare e ponderare i legami. Forniscono la sintassi relazionale in grado di trasformarsi in risorsa economica. Li fanno diventare occasione di imprenditorialità, di innovazione, ma anche, per chi le sa cogliere, una straordinaria opportunità di recruiting.

L'utilizzo, l'ascolto, il rilascio a catena di esperienze, opinioni e consigli nell'attuale fase di sviluppo del web è concomitante. Si sviluppa in modo non sequenziale ma esponenziale attraverso i contenuti generati dagli stessi utilizzatori della Rete.

E questo non solo nel caso di prodotti o servizi, ma anche, per quello che più ci interessa in questo ambito, per le proprie esperienze di lavoro, che costituiscono una cartina al tornasole dell'applicabilità in azienda dell'employer value proposition definito all'interno e comunicato all'esterno per attrarre risorse di valore. E' il caso della Lidl, ma anche di Mediolanum o di aziende minori come Italpride, solo per citare degli esempi di come la rete possa ampliare e diffondere le worste practice aziendali, vanificando gli sforzi di migliorare l'employer value proposition aziendale.

Da questo punto di vista le aziende e in particolare gli uomini dell'HR, ma anche del marketing e delle relazioni esterne sono chiamati a confrontarsi con un meccanismo nuovo il cui processo per sua natura non è controllabile in modo sequenziale. L'unica soluzione (perchè ignorare il fenomeno non porta molto lontano) è quello di capire i meccanismi, penetrarli e parteciparvi. Senza rinunciare al proprio ruolo di rappresentante dell'azienda ma anzi mettendosi in gioco come interlocutore aperto verso l'esterno e ai nuovi possibili collaboratori. Non in modo saccente o supponente, ma partecipativo.

Per il momento in Italia i blog aziendali pensati per l'attraction e il recruiting di persone di valore non sono una realtà ancora molto sviluppata (sicuramente siamo indietro rispetto ai paesi anglosassoni, Stati Uniti in primis) ma il fenomeno sta prendendo piede e occorre, come l'esperienza di Internet ci dimostra, prepararsi per tempo per non doversi trovare poi a rincorrere i competitor.

mercoledì 9 luglio 2008

Il talento, risorsa indispensabile per le PMI.

Vi segnalo un articolo di Marco Caparrelli sul tema dei talenti e di come la loro presenza in azienda rappresenti un elemento fondamentale per lo sviluppo della stessa, sopratutto per quanto riguarda le PMI, pubblicato su Finanza&Mercati di oggi, mercoledi 9 luglio 2007:


Il talento è la voce importante che non appare sul bilancio.
"Coltivare i talenti per lo sviluppo del territorio, creare nuova classe dirigente per il territorio, fondata sulla creatività, talento e merito. Questa è la sfida del progetto Fondazione «La Fabbrica dei talenti» organizzato da Confindustria Frosinone che ieri ha tenuto un convegno proprio per presentare l'iniziativa. La Fondazione con le proprie attività sostiene il territorio, sviluppando contesti sociali ed economici che possano contribuire alla creazione di una nuova identità in grado di generare attrazione positiva. L'obiettivo è liberare energia creativa per trasformarla in forza motrice dello sviluppo. «Le persone di talento - ha spiegato durante il suo intervento Giuseppe Morandini, presidente nazionale Piccola industria - sono importanti per le imprese, soprattutto per le piccole aziende in cui è importante saper essere in grado di affrontare con efficacia diverse situazioni. È soprattutto nelle realtà di queste dimensioni, dove sia l'imprenditore che i suoi collaboratori devono saper far tutto, che il talento è fondamentale. Quella del talento - ha aggiunto - è una voce molto importante che non si trova in bilancio, ma è da questa che dipendono le fortune di un'impresa». All'incontro di ieri sono intervenuti, fra gli altri, l'attrice Gioia Spaziani, il presidente della Provincia di Frosinone Francesco Scalia e Arnaldo Zeppieri, presidente Fondazione Fabrica dei Talenti. Nell’ambito della giornata si sono anche tenuti gli interventi «Classe Dirigente e Territorio», di Matteo Caroli, docente facoltà di Economia Luiss Guido Carli, «Ideas Factory: How to build an organization for the continuous creativity and innovation», di Isaac Getz, docente di Management delle idee e dell'innovazione all'Escp-Eap European school of management di Parigi e «Un'idea vale più di una Fabbrica», di Mario Moretti Polegato, presidente Geox. La Fondazione «La Fabrica dei talenti» prevede di ideare e realizzare un centro studi che abbia come obiettivo quello di analizzare le vocazioni del territorio e di assegnare delle borse di studio tra tutti i ragazzi neolaureati residenti nella provincia di Frosinone. Inoltre, sarà compito dei soci e principalmente del Comitato tecnico scientifico esaminare e proporre al cda il finanziamento di proposte di brevetti. Verranno poi istituiti sia un premio biennale al miglior talento ciociaro nel mondo che dei «laboratori della fabrica» per mettere in rete gli enti accademici e i soci della Fondazione e realizzare insieme dei progetti con il coinvolgimento di giovani talenti. Infine l'ultimo degli obiettivi è quello di dare vita a una vera e propria «Città dei talenti»: con l'aiuto dei soci sostenitori verrà individuato un sito di archeologia industriale dove i talenti potranno esprimere la loro creatività e dove potranno essere ospitate iniziative per stimolare la conoscenza di nuove tecnologie".
Il talento è la voce importante che non appare sul bilancio di Marco Caparrelli, Finanza&Mercati del 9 luglio 2008.

venerdì 27 giugno 2008

Talenti, merito, competenze e flessibilità: le leve per vincere la sfida della competizione globale.

Sempre in merito all' Eurobarometro - Tendenze e prospettive delle risorse umane in Europa, vi segnalo l'ottimo articolo di Michele Tiraboschi:


"Cambiare in profondità la cultura delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro per crescere e continuare a competere sui mercati internazionali. Liberare il lavoro da un eccesso di formalismo giuridico, dai vincoli burocratici e dall’estremismo ideologico che ancora tanto comprimono la delicata funzione della gestione del personale. Sviluppare un approccio interdisciplinare e adottare inmodosistematico il metodo del benchmarking, per affrontare le difficili sfide dei prossimi anni in modo innovativo e coerente con le reali aspettative delle imprese e i radicali cambiamenti del mondo del lavoro. Sono questi, in estrema intesi, i messaggi che emergono, per un osservatore italiano, dalla lettura della terza edizione di "Eurobarometro - Tendenze e prospettive delle risorse umane in Europa". Oggi, in effetti, sono il più delle volte i consulenti esterni alla azienda, gli avvocati e i magistrati a dettare i tempi e le logiche della organizzazione d’impresa. Ancora preponderante è il ricorso a modelli eteronomi e rigidi di organizzazione del lavoro: modelli imposti dall’alto, attraverso un impiego sistematico di norme inderogabili di legge e di contratto collettivo, e per questo assai lontani dalle esigenze concrete di lavoratori e di manager che operano in contesti aziendali sempre più eterogenei, sofisticati e aperti. Stenta per contro ad emergere piena consapevolezza della importanza strategica del ruolo dei responsabili delle risorse umane e delle relazioni industriali. Gli unici, tuttavia, in grado di sviluppare e affinare quei nuovi modelli di gestione dei rischi d’impresa collegati al capitale umano e indicati ora dall’Eurobarometro come la vera priorità per il 2008-2010. Non a caso un migliore e più tempestivo coinvolgimento dei responsabili delle risorse umane in quelle decisioni strategiche d’impresa, che
hanno un impatto sulla organizzazione del lavoro e sui processi produttivi, risulta in cima alla classifica dei bisogni espressi dagli intervistati per poter svolgere al meglio la propria attività. Tutto ciò induce a superare una visione antagonista e ormai antiquata dei rapporti di lavoro che vede la gestione del personale unicamente nei termini negativi di un costo, di intollerabile vincolo o di un possibile conflitto. La scoperta e la gestione dei talenti, che è poi la capacità di investire e scommettere su forza lavoro competente e qualificata, è la vera sfida del futuro per le nostre aziende. Merito e competenze sono oramai diventate parole chiave anche se spesso abusate. Non c’è convegno o dibattito in cui non vengano invocate, in contrapposizione ai concetti di casta e corporazione, come soluzione di tutti i mali del nostro Paese. Eppure, come rileva in modo non del tutto sorprendente l’Eurobarometro, sono poi proprio le attività correlate alla gestione dei talenti, quali la pianificazione dei bisogni futuri di manodopera, la valutazione dei livelli di soddisfazione dei dipendenti o le relazioni industriali, a essere ritenute dagli amministratori d’impresa tra le meno importanti in termini di impatto sui risultati e sulla produttività aziendale. La verità è che il mercato del lavoro è oramai diventato adulto e richiede un salto qualitativo e di tipo culturale nella gestione dei rapporti di lavoro. Segmentazioni dei processi produttivi d’impresa, ricorso a rapporti di lavoro atipici e licenziamenti facili non
sono le priorità delle imprese più evolute le quali, al contrario, chiedono solo di essere messe nelle condizioni di operare liberamente attraverso regole più semplici e adattabili per assumere e fidelizzare i propri collaboratori premiando la motivazione, l’impegno e il merito di chi li aiuta a sostenere e vincere la sfida competitiva".

Il formalismo diventa ostacolo, di Michele Tiraboschi, su Il Sole 24 Ore del 25 giugno 2008.

Il capitale umano al centro delle politiche HR delle aziende europee nel prossimo triennio.

Secondo quanto rilevato dalla terza edizione dell' Eurobarometro sulle prospettive del settore delle risorse umane in Europa, i cui dati sono stati presentati il 24 giugno 2008 a Modena nel corso del convegno intitolato "Le nuove sfide del capitale umano", organizzato dalla Scuola di Alta Formazione in Relazioni Industriali e di Lavoro e dalla Fondazione Marco Biagi, in collaborazione con Il Sole 24 Ore, l’ Associazione italiana per la direzione del personale e l’European Club for Human Resources, sempre più imprese europee mettono al centro delle loro strategie di sviluppo per il prossimo triennio il ruolo del capitale umano.

Il rapporto, curato da Hewitt Associates per l’Echr, mette in
luce come lo sviluppo di una politica di risk management nella gestione del personale sia la priorità numero uno per i responsabili delle risorse umane per il 2008. La gestione dei talenti appare infatti l’area in cui le risorse umane hanno la maggior influenza sulla performance complessiva dell’impresa.
Lo studio, che ha coinvolto 53 imprese, la maggioranza delle quali quotate in borsa, per un totale di 2,2 milioni di dipendenti e 708 miliardi di euro di fatturato, ha avuto come obiettivo l’indagine delle pratiche gestionali e delle priorità emergenti per la gestione delle Hr in Europa.
Ne risulta che i cambiamenti culturali e organizzativi, insieme con la carenza di manodopera e i rigidi obiettividiproduzione, costituiscono i fattori aziendali che presumibilmente influenzeranno maggiormente l’agenda Hr tra il 2008 e il 2010.

«L’obiettivo - spiega un comunicato dell’Adapt - è quello di cambiare la cultura delle relazioni industriali, sviluppando quel fondamentale esercizio di benchmarking che solo può contribuire a capire i problemi del nostro Paese». A conferma di come gli obiettivi e le priorità delle Hr siano sempre più legati alle questioni di interesse strategico delle aziende, andando quindi ben oltre mere considerazioni di breve periodo sui costi e gli aspetti amministrativi della gestione del personale», l’outlook di Hewitt segnala che i responsabili Hr sono pronti ad assumere nuove competenze e responsabilità» nel prossimo triennio.
Sulle performances, invece, il sondaggio indica che ben quattro organizzazioni su dieci riconoscono «la necessità di migliorare i loro servizi per rispondere in maniera più efficace alle aspettative aziendali», in particolare su questioni che «richiedono un approccio proattivo», come ad esempio la conciliazione fra vita professionale e familiare.
Inoltre, i responsabili Hr intervistati affermano di contribuire alla gestione della responsabilità sociale d’impresa «specialmente applicando gli standard dell’Organizzazione internazionale del lavoro e adottando misure employee-friendly nel quadro delle ristrutturazioni aziendali».

giovedì 26 giugno 2008

Employer branding. Alla base del successo Ferrari: la Formula Uomo voluta da Montezemolo.

Duecento milioni di euro spesi negli ultimi dieci anni per dare un volto umano all’azienda che è in pole position nelle preferenze per un posto di lavoro dei giovani italiani (si veda a tal proposito la classifica delle Best100, le aziende preferite dagli italiani, edizione 2007, mentre l'edizione 2008 è attualmente in fase di rilevazione).

Formula Uno certo, ma la Ferrari oggi è anche Formula Uomo: senza di essa, il miracolo di una piccola azienda italiana capace di vincere da decenni sulle piste e sui mercati di tutto il mondo.

È questa la sintesi dell'ambizioso progetto di riqualificazione e ammodernamento della "cittadella dei motori" di Maranello avviato nel 1997 con l'inaugurazione della galleria del vento disegnata da Renzo Piano e ormai in via di conclusione con gli ultimi appuntamenti: l'apertura ieri dell'avveniristico ristorante aziendale da 576 posti – il cui nome verrà stabilito anche con un referendum tra i dipendenti – e quella della nuova linea di montaggio a misura delle necessità produttive della futura Ferrari California, ma destinata a ereditare l'attività delle linee oggi operative man mano che usciranno di produzione i modelli attualmente a catalogo.

Nei dodici anni trascorsi tra i due eventi, Maranello ha cambiato volto nel segno della qualità della vita in fabbrica, dell'attenzione all'ambiente, del rispetto per quello che è l'ingrediente fondamentale dei successi della Rosse: l'Uomo, appunto. Con un investimento complessivo di 200 milioni di euro e il coinvolgimento di alcuni grandi nomi dell'architettura non solo italiana, da Massimiliano Fuksas a Marco Visconti, da Luigi Sturchio a Jean Nouvel, sono nati in questo periodo la nuova meccanica – una fabbrica di motori luminosa come una serra e asettica come lo studio di un dentista - e il reparto verniciatura, il Centro sviluppo prodotto con il suo affascinante "pavimento d'acqua" del primo piano, la nuova Logistica della Gestione sportiva. Persino la fonderia ha perso ogni connotazione da girone dantesco per trasformarsi in un'oasi di tranquillità e vivibilità, tra l'altro neppure troppo calda.

"Considero tutte le cifre impiegate per il benessere nell'ambito del progetto Formula Uomo un investimento, non una spesa - ha aggiunto l'amministratore delegato di Ferrari, Amedeo Felisia - nella nuova meccanica abbiamo verificato che le somme stanziate per il benessere si sono ripagate in soli due anni. Le grandi vetrate per esempio, consentono di ridurre del 25 per cento l'energia elettrica impegnata. Le migliori condizioni di lavoro innalzano qualità, produttività e creatività".

Montezemolo e tutti gli uomini del Cavallino ieri hanno tenuto a battesimo il d-day della nuova fase della “cittadella” Ferrari.L’eccellenza e la passione. Da sessant’anni la Ferrari li mette insieme e da sessant’anni è un mito. Il marchio sinonimo del made in Italy nel mondo. Una “cittadella” Ferrari valore aggiunto di Maranello e di un Belpaese a cui Montezemolo tornato, dopo la presidenza di Confindustria, full time al timone dell’azienda, lancia un messaggio: "La visione che guida le attività in Ferrari è l’eccellenza. Ma per arrivare a questo traguardo servono entusiasmo, la capacità di non abbattersi nei momenti difficili e tutti sanno che anche qui di momenti difficili ne abbiamo vissuti a lungo. Questa azienda è sempre proiettata nel futuro. Lotta, vince e perde (da dieci anni però siamo sempre in prima fila e vincenti... nessuno come noi) ma guarda avanti. Vorremmo che il messaggio arrivasse anche al Paese perchè con l’entusiasmo tutto è possibile. Ho sempre detto che per realizzare macchine eccellenti servono uomini eccellenti... ma bisogna mettere a loro disposizione anche ambienti eccellenti. Ci sono reparti dove abbiamo creato il 20% in più di spazio, e fatto crollare gli spostamenti dei dipendenti del 60%, grazie allo studio di macchine robotizzate che li sostituiscono in questo compito".

Massima attenzione all'uomo, in coerenza con la filosofia del presidente Montezemolo che ha sempre sostenuto la necessità del fare squadra, anche per valorizzare al massimo le qualità e la passione dei singoli individui. Ma il legame Ferrari-dipendente non può essere confinato solo al lavoro. Per questo ci siamo attivati per garantire mutui casa a tassi agevolati ai dipendenti. Ci occupiamo anche della famiglia sotto il profilo salute e sport. Abbiamo garantito pure sconti per l’acquisto dei libri scolastici e universitari dei figli.Tutto questo è osare, avere coraggio. E siamo qui a dimostrarvi che si può fare» dice Montezemolo."Formula uomo", però, significa anche sicurezza del lavoro: solo nel 2008, a questo proposito, è previsto un investimento di oltre quattro milioni di euro. "L'obiettivo è di far sì che nella nostra fabbrica le possibilità di incidente siano pari a zero", ha sottolineato Montezemolo. E grandi passi in avanti sono stati fatti anche in tema di risparmio energetico. "Due nuovi impianti, uno fotovoltaico e uno di rigenerazione, ci consentiranno di utilizzare il 25% in meno di energia elettrica e di abbattere del 35% le emissioni di CO2", ha detto Amedeo Felisa, amministratore delegato Ferrari, secondo il quale la fabbrica di Maranello sarà in grado di cedere all'esterno parte dell'energia prodotta.

Guarda le immagini dello stabilimento Ferrari a Maranello