giovedì 28 febbraio 2008

Viewmyworld.com: come spostare l'employer experience dall'azienda al prodotto.

Microsoft ha perso il suo irrestibile fascino e appeal come employer di riferimento ormai da diverso tempo negli Stati Uniti, sotto i colpi di competitor del calibro di Yahoo! e, sopratutto, di Google.

Tuttavia, alcuni brand come quello di Xbox sono riusciti ad affermare una propria identità e a staccarsi dall’immediata associazione con il brand principale. E alla casa di Redmond hanno pensato, hey perchè non creiamo una employer branding experience unica e specifica attorno a questo oggetto di culto? Et volià, è nato ViewmyWorld.com.

L’obiettivo del progetto di comunicazione è quello di catturare l’interesse dei giovani talenti facendo leva sull’effetto distintivo di questo nuovo brand e cercando di orientare le ambizioni di lavoro degli studenti e neograduati ai quali il progetto di comunicazione di rivolge in prima battuta a lavorare in una divisione consumer piuttosto che in una enterprise, seguendo la logica ribadita da Ray Ozzie, CSA Chief Software Architect di Microsoft, secondo il quale il futuro è nelle applicazioni consumer perchè tutte le principali novità e innovazioni tecnologiche vengono da applicazioni pensate per il mondo consumer e poi adattate al segmento business e non viceversa.

La sfida, per Microsoft, è quella di convincere giovani ad alto potenziale a lavorare nel settore dei game anzichè in quello di Windows, Office o le applicazioni server. Per far questo nel sito ViewmyWorld.com sono state messe in evidenza proprio le persone che collaborano nei vari dipartimenti. Tutte le persone che vengono presentate nel sito sono persone che lavorano realmente in Microsoft nell'Xbox Team.

Il sito include poi blog posts, una serie di domande e risposte sul lavoro che sono pensate proprio per venire incontro alle esigenze essenziali di informazione di chi sta cercando lavoro, video, un interessante rolodex sulle ragioni per cui lavorare questa azienda del gruppo e anche job postings.

L’unica pecca è che facendo una ricerca di lavoro si viene indirizzati sul sito di Microsoft Careers anzichè rimanere sul microsito come una corretta impostazione di employer branding e recruitiment marketing avrebbe consigliato.

Positiva invece la promozione del sito online con una campagna di banner advertising mentre non va nella giusta direzione il fatto di impostare una employer brand promotion dimenticandosi del SEM il Search Engine Marketing, croce e delizia di quanti si occupano di portare sul web la propria azienda. Scrivendo "xbox jobs" su Google o su Msn (!!!) non si viene indirizzati nel giusto posto ma al vecchio sito di Microsoft Careers così come avviene cliccando su Jobs nel sito della Xbox.


Insomma, una campagna di employer branding che si muove nella giusta direzione per quanto riguarda l'obiettivo di staccare l'employer experience dell'area Xbox da quella di Microsoft, che si distingue per il tentativo di orientare le scelte e le ambizioni dei giovani laureati di talento verso applicazioni legate al mondo consumer, ma caratterizzata da troppi errori di ingenuità, come quelli evidenziati, che un’azienda come Microsoft non può permettersi.

mercoledì 27 febbraio 2008

Dalla Ford employer branding al contrario: sei preparato e qualificato? Allora il tuo futuro è altrove.

'200La Ford, l'azienda automobilistica americana fondata nel 1903 da Herny Ford, sta affrontando in questi giorni la sua campagna di marketing più difficile. Incentivi, brochure, dvd e super offerte che l'azienda spera siano considerate appetibili. Tutto normale nella quotidiana competizione tra case automobilistiche senonchè quello che l'azienda di Detroit spera di mettere sul mercato non sono automobili, ma i propri dipendenti.

Il progetto in questione si chiama "Connecting With Your Future" e riguarda i 54 mila dipendenti tra i quali il gigante automobilistico spera di trovare le 8 mila unità delle quali desidera disfarsi. E non si tratta, contrariamente a quanto si potrebbe in un primo momento pensare, di un'azione che ha come target il personale meno qualificato. Tutt'altro. Maggiore è la specializzazione e l'anzianità aziendale maggiore è il desiderio dell'azienda di offrire al proprio collaboratore un futuro lontano da Ford.
Può sembrare paradossale ma non lo è. L'obiettivo è sostituire forza lavoro che costa attualmente 28 dollari l'ora con nuova forza lavoro he ne costerebbe solo 14.
Per raggiungere l'obiettivo di diminuire la propria forza lavoro di 8 mila unità la Ford ha messo in moto un meccanismo incredibile, offrendo ogni sorta di incentivi con buonuscite che vanno dai 100 mila dollari per i più giovani ai 140 mila dollari per le persone con maggiore anzianità aziendale, offrendo il pagamento delle rette universitarie per un importo fino a 15 mila dollari l'anno, più la metà del salario e l'assistenza sanitaria a chi vuole riqulificarsi con un corso universitario e di conseguenza trovare poi posto altrove e organizzando anche negli impianti produttivi dei Job Fair alla luce del motto "Collegati con il tuo futuro" e agevolando finanziariamente chi avesse un progetto per mettersi in proprio.
Tutto questo è il risultato di 15 miliardi di dollari di perdite che il gigante di Detroit ha registrato negli ultimi due anni, soffrendo, come le altre due case automobilistiche americane, la GM e la Chrysler, dell'agguerrita concorrenza delle case automobilistiche giapponesi, Toyota in primis.
Tutte assieme letre case automobilistiche hanno già tagliato oltre 80 mila posti di lavoro dal 2006 e altri tagli sono in previsione per raggiungere l'obiettivo di una forza lavoro più giovane e proprio per questo meno retribuita.
Una volta Ford era distintivo di sicurezza, oggi lo è di precarietà come afferma in una intervista rilasciata a The New Yor Times Jerry Thomas, 37 anni da 12 alla Ford che aggiunge "sto seriamente pensando di lasciare l'azienda e accettare la proposta, anche se dopo tanti anni è difficile. La cosa che mi spinge a farlo è l'incertezza verso il futuro. Non sappiamo quale sarà il futuro della Ford".
Ovviamente non tutti i lavoratori sono d'accordo con questa impostazione e l'approccio dell'azienda, pur accettato dai sindacati, sta provocando dei grandi dibattiti tra i dipendenti.
A noi quello che preme sottolineare è che questa politica risulta particolarmente beffarda in un'azienda nella quale agli inizi del '900 il suo fondatore Henry Ford aveva portato la paga giornaliera di tutti operai della sua fabbrica a 5 dollari, quasi il doppio di quella comunemente percepita dagli altri lavoratori dell'epoca, affermando che "se riduci le paghe, riduci soltanto il numero dei tuoi clienti". All’inizio degli anni Venti scrisse: “le nostre stesse vendite dipendono in una certa misura dai salari che noi paghiamo. Se ci è possibile distribuire alti salari, sarà tanto denaro che verrà messo in circolazione, ed esso gioverà a rendere più prosperi negozianti, intermediari, imprenditori e operai di altri rami industriali, sì che le loro buone condizioni trovino un riflesso sullo smercio dei nostri prodotti". Nell'era post fordista anche questo approccio si è perso.

venerdì 22 febbraio 2008

Direttori del personale bocciati in comunicazione.

E' quanto emerge da un'indagine realizzata dalla società di consulenza Krauthammer su un campione di dipendenti di aziende europee che mettono sotto accusa la comunicazione interna.

Solo il 42 per cento dei dipendenti ritiene che l'azienda per la quale lavora sia affidabile e appena il 38 per cento considera soddisfatte le condizioni per una comunicazione sufficiente.

Un dato gravissimo che mette in risalto come il target primario dell'azienda, i suoi dipendenti e collaboratori, siano i primi a non fidarsi dell'organizzazione nella quale prestano la propria attività, con quali conseguenze per l'immagine aziendale e per le politiche di employer branding è facile immaginare. Perchè la fiducia collaborativa è un bene fondamentale per l'azienda e elemento di vantaggio competitivo, come afferma Ronald Mejer membro del comitato direttivo della società di consulenza che ha realizzato l'indagine, secondo il quale la mancanza di fiducia può rappresentare una minaccia molto seria per l'azienda stessa.

I dati che emergono in questa ricerca non soprendono chi qui scrive e che da tempo va affermando come la comunicazione interna non vada sottovalutata e come si debba investire sulla trasparenza dei rapporti verso i propri collaboratori con una politica di employer branding chiara ed efficace. Ma per fare questo oltre al supporto dei vertici aziendali è necessario che gli uomini delle risorse umane imparino le tecniche del marketing e della comunicazione, rendendosi conto una volta per tutte che il mondo del lavoro è radicalmente cambiato negli ultimi anni e che il loro ruolo deve adeguarsi alle nuove sfide che le aziende sono chiamate ad affrontare trasformandosi da soggetto passivo a soggetto attivo perfettamente allineato agli obiettivi di business dell'azienda.

A puntare il dito contro gli uomini del personale è anche Fulvio Garbagnati, presidente di Assorel (l'associazione che riunisce le principali agenzie di relazioni pubbliche in Italia) secondo il quale il vero problema è rappresentato dal fatto che la comunicazione interna in Italia è gestita quasi sempre dall'ufficio del personale e ha come risultato bolletini numerati e burocratici, non comunicazione.

Sempre secondo Garbagnati le aziende in questo modo falliscono nella comunicazione con i propri dipendenti non riuscendo a conquistarsi la loro fiducia perchè affidano questo compito alle persone sbagliate, i direttori del personale appunto, mentre occorrerebbe che questa attività venisse gestita con la stessa professionalità e competenza con la quale in azienda si gestisce la comunicazione verso l'esterno.

Interna o esterna che sia, quando l'azienda comunica, ha bisogno di persone che abbiano competenze di marketing e di comunicazione.

Già in un survey realizzato qualche anno fa da PeopleValue sulla dinamica interna della vita aziendale nel quale il clima organizzativo veniva considerato sotto alcuni dei suoi molteplici e articolati aspetti, emergeva in modo chiaro che per quanto riguarda il coinvolgimento dei dipendenti nell'azienda attraverso la verifica del grado di informazione e comprensione degli obiettivi aziendali, a fronte di una omogenea importanza attribuita a questo indicatore da parte di tutti i collaboratori dell'impresa, risultava un sostanziale livello di moderata insoddisfazione da parte dei dipendenti, insoddisfazione che tende ad accentuarsi al crescere dell'anzianità aziendale e dell'età anagrafica.

martedì 12 febbraio 2008

Organizzazione. Troppi capi in azienda minano i risultati e compromettono l'engagement dei dipendenti.


È già diventato un caso sulla rete. Il pezzo più "cliccato" della settimana sul sito de Il Sole 24 Ore è l'articolo «Avete troppi capi in azienda? Leggete la storia della canoa». Il tutto arricchito da un’animazione, un sondaggio e un commento di Marco Vitale, presdiente della findazione Istud, che ironizza sulla ricca gerarchia esistente a bordo delle aziende, apparso in anteprima sul Sole 24 Ore di domenica 3 febbraio nella pagina dedicata ai manager.

"In effetti la storiella della regata Italia-Giappone" commenta Vitale "ha un forte valore didattico. E l'impennata dei click, come l'alto numero dei partecipanti al sondaggio e i vivaci commenti, sono un segnale preciso: chi va ogni giorno in ufficio assegna una grossa importanza all'organizzazione".

Si tratta di una storiella che circola negli uffici da tempo e riguarda una sfida in canoa tra Italia e Giappone. Naturalmente vince il Giappone e il nostro direttore generale si affida a un gruppo di lavoro per analizzare il problema. Il rapporto finale stabilisce che il Giappone, seguendo un modello organizzativo flat tipo Toyota, aveva un capitano e sette rematori, l’Italia sette capitani e un rematore. Subito vengono chiamati superpagati consulenti e il direttore stabilisce con loro di cambiare la squadra. Ci saranno 4 capitani, 2 supervisori, un capo dei supervisori
e un rematore. Al quale andrà un’attenzione speciale: dovrà essere più motivato, più qualificato, più consapevole.

L’anno dopo il Giappone stravince e il direttore generale è costretto a licenziare il rematore per scarso rendimento. E il consiglio di amministrazione, al quale è stato riconosciuto di aver adottato la tattica migliore e tenuto alta la motivazione, si divide un premio extra. Attualmente sta pensando di cambiare la canoa.

È una storia paradossale (ma neanche troppo) che racchiude molte peculiarità della via italiana al management. Fotografando una realtà molto diffusa, specialmente negli uffici pubblici, denuncia le pecche delle organizzazioni pletoriche invece che piatte come pure il cattivo utilizzo dei consulenti e la disinvoltura nella distribuzione dei premi a chi non merita.

Molto interessanti i "post" inoltrati anche da giovani ragazzi che mettono però in evidenza un certo disagio nel vivere ogni giorno in un'organizzazione "all'italiana".

Ma c'è di più. Il sondaggio sul sito del Sole chiede: l'azienda nella quale voi lavorate è più simile a quella giapponese o a quella italiana (un solo rematore, quattro capitani, due supervisori e un capo dei supervisori)?
Ben otto persone su dieci (con migliaia di risposte) hanno detto di riconoscersi nella squadra organizzata all'italiana.

Già in un survey di qualche anno fa, realizzato da PeopleValue su un campione di lavoratori dipendenti suddivisi per inquadramento, settore di attività e dimensione dell'azienda, aveva evidenziato come i "capi" siano chiamati dai propri collaboratori ad adottare uno stile di gestione delle persone che sia in grado di coinvolgere personalmente i lavoratori, per ottimizzare i risultati e massimizzare la motivazione. Ed erano proprio i dipendenti dell'azienda che richiedevano un maggiore coinvolgimento nelle scelte dell'azienda, una maggiore partecipazione nella definizione e organizzazione del lavoro, nel far si che siano ben chiari gli indirizzi strategici dell'azienda, le scelte del management e il posizionamento dell'azienda nel mercato rispetto ai competitor con una struttura aziendale adeguata, meno gerarchica e basata sulcoinvolgimento. Tutto ciò sembrerebbe creare un clima facilitante che tende a favorire e a d accogliere l'espressione creativa dei singoli membri della struttura organizzativa.

venerdì 8 febbraio 2008

Headhunting 2.0: dagli States arriva Notchup.

L’altro giorno mi è arrivata una mail da un caro amico che vive negli Stati Uniti con l’invito a registrarmi ad un nuovo sito di recruiting online che si presenta ai nastri di partenza del web 2.0 con una promessa del tutto nuova: pagarti per sostenere un colloquio.

Si tratta di
Notchup. Il sito, chè è ancora in fase beta e al quale ci si può registrare dopo essere stati invitati, si presenta come uno dei tanti siti di recruiting online con una particolarità unica. Si ripromette di pagarvi ogni volta che un’azienda vuole fare un colloquio con voi e con uno speciale tool di autovalutazione vi indica approssimativamente qual è il prezzo giusto per la vostra intervista.
Il prezzo va dai 200 dollari in su, anche se si consiglia di non chiedere più di 600, e viene calcolato in base ad un coefficiente che tiene in considerazione esperienza professionale, settore lavorativo e paga annuale. Nel mio caso l’importo suggerito è stato di 590 dollari.
Dopo di che si può compilare il proprio cv o se si vuole importarlo da Linkedin. Si sceglie poi se non si vuole entrare in contatto con alcune aziende o se si vuole essere contattati solo da aziende o anche da società di ricerca e selezione.

Nel caso si venga contattati per un colloquio, Notchup si ripromette di accreditare su un conto online l’importo pattuito per la vostra intervista dedotto di una quota pari al 20 per cento che è la commissione che si trattiene il sito per l’attività di intermediazione.

Altra cosa importante e distintiva è che il sito nasce e si rivolge soprattutto ai cosidetti passive job seeker, persone cioè che sono attualmente soddisfatte del proprio lavoro e che non sono alla ricerca immediata di un cambio di occupazione.

Funzionerà questo nuovo modello di recruiting online?
In altre parole, le aziende sono disposte a mettere mano al portafoglio per ogni singola intervista?

In effetti, se già lo fanno per pubblicare degli annunci sui job boards non vi vede perchè non possano adottare questo nuovo sistema che sembrerebbe più costosto per le aziende solo a prima vista, visto che consente agli stessi recruiters di scegliere chi intervistare risparmiando tempo sulle posizioni vacanti.

E’ sicuro di si Jim Ambras, cofondatore del sito e già vice president engineers del motore di ricerca Altavista, il quale ha affermato che in tutti i suoi precedenti lavori, ha spesso avuto la necessità di mettere in piedi dei team di ingegneri in poco tempo ed ha imparato dalla sua esperienza personale che i migliori, i talenti, non sono mai attivamente alla ricerca di un nuovo impiego. Il nuovo sistema serve appunto a questo.

Steremo a vedere. Intanto, nella home page appare una lista di aziende che dichiarano di utilizzare questa nuova applicazione, tra cui Google e Yahoo!