venerdì 17 ottobre 2008

Lavoro: il disagio di una vita precaria.

Con il post che vi propongo oggi sono consapevole di rischiare di andare fuori tema. Che c'entra il lavoro nei call center con l'employer branding e i talenti? Forse c'entra poco. Penso però che tra le migliaia di ragazzi e ragazze, cuffia in testa per otto ore di lavoro davanti ad un monitor, troviamo giovani diplomati o anche brillanti laureati che non si sa come finiscono in questa assurda area di parcheggio pensando magari ad un lavoro temporaneo e finendo invece per passarci talmente tanto tempo da non riuscire più a collocarsi. Ma siamo proprio sicuri che siano tutti così scarsi da non meritare una chance in più. O è forse il mecato del lavoro che da questo punto di vista ha qualcosa che occorrerebbe cambiare? Sto parlando non solo di formazione ma anche di opportunità di ingresso nel mercato del lavoro. In ogni caso mi sembrava interessante segnalare un artciolo di oggi su La Repubblica: si tratta di un reportage di un giornalista della testata che ha lavorato per una settimana in un call center ad Assago, nel Milanese, condividendo così le aspettative e le delusioni dei precari che ogni giorno vivono la loro esperienza nelle centinaia di strutture analoghe esistenti in tutta Italia.


Io cavia nel call center. Cronaca di una vita precaria
di Sandro De Riccardis
"Sono l'operatore 172. Ho risposto a un annuncio su Internet spedendo via e-mail il mio curriculum, e dopo il colloquio sono qui, con le cuffie in testa e il microfono che mi sfiora le labbra, a proporre a decine di titolari di partite Iva di lasciare Telecom e passare a Infostrada. Ho lavorato una settimana alla Mastercom, azienda di telemarketing e teleselling nella zona industriale di Assago, hinterland di Milano, un cubo di vetri a specchio e cemento a pochi passi dalla tangenziale Ovest, costola di un gruppo in espansione con nuove sedi a Roma e Benevento. Dopo la selezione, ho trascorso giorni in azienda senza aver firmato nessun contratto. Ho visto i 1200 euro lordi assicurati dai selezionatori, al colloquio e nei primi due giorni di formazione, diventare 800 al mese lordi (appena 640 netti), mentre le provvigioni promesse si sono ridotte in ventiquattr'ore della metà. Ho conosciuto universitari che non ce la fanno a pagarsi gli studi, ragazzine appena diplomate reduci da altri call center, segretarie trentenni licenziate e sostituite da giovani con contratto da apprendista, laureati con titoli improvvisamente inutili. Tutti senza altra chance che essere qui. Mi pagano 4 euro netti l'ora. Contratto di collaborazione occasionale per trenta giorni, poi a progetto. Otto ore al giorno - 4 e mezzo il part time - di fronte a un monitor che passa in automatico i dati degli abbonati Telecom da contattare. Promettono un mensile di 1200 euro e provvigioni di 20 (contratto Voce) e 25 euro (contratto con Adsl) per ogni nuovo cliente rubato alla concorrenza. "Qualcuno qui guadagna più di me - spiega Massimo, il selezionatore, al colloquio -. La media dei contratti di ogni operatore è di 3,9 al giorno". Nessuno però spiega il trucco contabile: il calcolo dell'azienda è su 30 giorni lavorativi perché alla Mastercom si lavora dal lunedì al venerdì. Così trenta giorni, il loro "mensile", corrispondono a sei settimane. Un mese e mezzo. E i 1200 euro promessi diventano nella realtà 800 euro al mese. Lordi. Appena 640 netti. Pagati a 60 giorni. Una cifra che nessuno pronuncia mai, un equivoco che gli altri 16 ragazzi che entrano con me in azienda capiranno molto tardi.
Alla Mastercom il turnover di operatori è continuo: ogni lunedì entrano tra i dieci e i venti nuovi lavoratori, altrettanti abbandonano. Con me ci sono quattro ragazzi e 12 ragazze. Dai 19 anni di Antonella e Giovanna, appena uscite dalle superiori, ai 38 di Carla e agli "oltre 40" di Alessandra, che s'imbarazza a rivelare l'età e a dire che sta provando a riprendere a lavorare dopo nove anni, dopo un divorzio. Ci sono anche 4 stranieri: Frida che viene dal Ghana e Salomon dal Camerun, Betsy dall'Ecuador e Lidia dal Venezuela. Tutti ventenni, seconda generazione di famiglie arrivate in Italia quando loro erano bambini. Sono i nuovi italiani: scuole a Milano, ottimo italiano, ambizioni di un futuro diverso da quello dei genitori. Molti arrivano dai call center di Monza, Cesano Boscone, Milano città, "dove si lavora 24 ore su 24, dal lunedì alla domenica, come robot". O da centri commerciali, ristoranti, locali nel cuore della movida milanese dove "una notte di lavoro, dalle 19 all'alba viene pagata 50 euro in nero a fine serata". I primi due giorni di formazione - non retribuiti, anche se è a tutti gli effetti attività lavorativa che dev'essere pagata dal datore di lavoro - sono una full immersion di marketing e psicologia della vendita. Con qualche trucchetto per produrre di più. Uno riguarda il modem per Internet. "Si può noleggiare o acquistare - spiega chi ci istruisce - . Al telefono col cliente, abbassate la voce come se state rivelando un segreto poi sussurrate: "Guardi, glielo dico senza farmi sentire sennò mi licenziano. Lo compri, costa solo 17 euro, le conviene piuttosto che pagare 3 euro ogni mese. In realtà lo state fregando. Presto si romperà, e l'azienda non ha nessuna voglia di fare manutenzione". Le ore passano tra simulazioni di telefonate, studio delle obiezioni che riceveremo, illustrazione dei contratti da proporre. "Dovete essere lo specchio dell'altro. Capire i desideri dell'acquirente, agire sulla parte emotiva - ci dicono - . Fare come scrive Pirandello. Cambiare ogni volta maschera. Se ci pensate, noi vendiamo sempre qualcosa: le idee, la nostra immagine, le nostre scelte". Fino al mercoledì, terzo giorno di lavoro, nessuno vede un contratto. Così nel cortile nascono complicati dibattiti sullo stipendio, con i telefonini che si trasformano in calcolatrici. L'atrio all'ingresso è l'unico spazio all'aperto. È qui che si fa pausa per caffè e sigarette. Qualcuno dell'azienda ci vede e ci rassicura, almeno sulle provvigioni: "20 euro per contratto voce, 25 Adsl". Poi si passa in sala training e da mezzogiorno iniziamo a fare le prime telefonate. "Ricordate Full metal jacket? - dice Alex, il nostro team leader - Il soldato diceva "Il mio fucile è il mio migliore amico, è la mia vita. Senza il mio fucile io sono niente". Il nostro fucile sono le cuffie. Con loro dobbiamo saper colpire il bersaglio". Con il nostro fucile, siamo operativi davanti ai pc senza aver firmato nulla. Come se paga, provvigioni e condizioni contrattuali fossero una variabile indipendente dal nostro lavoro. Ma ecco, due minuti prima della pausa pranzo, quando non vogliamo far altro che scappare a mangiare, arrivano i moduli per la firma. "È il contratto standard dei collaboratori occasionali" spiegano a chi si dilunga a leggere. Molti capiscono solo ora che i 1200 euro di stipendio coprono sei settimane di lavoro e non un mese. E che non è detto che le nostre provvigioni saranno di 20 e 25 euro: la terza pagina da firmare è un elenco indistinto di gettoni da 5 a 25 euro. Per tutto il pomeriggio di mercoledì, le nostre telefonate raggiungono il segmento di clienti Telecom ULL (Unbundling local loop), quelli che sono rimasti sempre fedeli all'ex monopolista e a cui si propone il distacco totale dalla vecchia Sip. Poi, all'improvviso, giovedì, il nostro team leader blocca tutto. "Siete un gruppo molto affiatato, l'azienda vuole scommettere su di voi. Da ora chiamerete un'altra categoria di clienti". Soddisfatto dei complimenti, tutto il gruppo - tranne tre che restano sui vecchi contratti - inizia a chiamare i "silenti", i clienti che ai tempi delle prime liberalizzazioni sono passati a Infostrada pur dovendo pagare doppio canone, e che per questo sono rimasti a Telecom. "Si tratta di convincerli a tornare", ci dicono. Partiamo con le telefonate ai Wrl (clienti fuori copertura). Per scoprire, soltanto il giorno dopo, che per questi contratti le provvigioni non sono di 18 e 25 euro ma 8 e 12 euro. Meno della metà. Nessuno ce lo dice. "Per ora è cosi" rispondono quando chiediamo spiegazioni. Ma nessuno ribatte. E nessuno reagisce alle proteste delle persone a casa, alle offese e alle minacce di denuncia. Ci hanno insegnato che dobbiamo essere più forti delle difficoltà. Mi metto in contatto con un clic con ogni partita Iva che appare sul monitor. Da Bolzano a Siracusa, chiamo tappezzieri e pizzerie, parrucchieri e macellai, studi di architetti e avvocati, profumerie e scuole guida, imprese edili e meccanici. "Oggi è la 14esima volta che ci chiama qualcuno" rispondono all'Oasi del capello di Broni, provincia di Pavia. "Siete ossessivi" dicono da un negozio di giocattoli di Potenza. "Bombardate dalla mattina alla sera" si sfoga un medico calabrese. Perché quando qualcuno non accetta la proposta, l'ordine non è di escluderlo dal database, ma di rimetterlo in circolo per essere richiamato tra poche ore o tra una settimana, a secondo della violenza della sua protesta. Il contrario di quanto stabilisce il Garante della privacy che dal dicembre 2006 obbliga i call center a "rispettare la volontà degli utenti di non essere più disturbati". I miei colleghi che misurano ogni euro del loro lavoro, si accorgono così che non è tanto facile acquisire clienti. Anche se per giorni ci hanno ripetuto il numeretto magico di 3,9 contratti stipulati ogni giorno da ogni operatore. Tra mercoledì e venerdì facciamo tre contratti. Lunedì, ultimo giorno di lavoro, un paio. In fondo alla sala, sulla lavagna c'è il nome di ognuno di noi: in rosso c'è l'obiettivo che si è dato prima di partire, accanto uno smile per ogni contratto realizzato. In queste sale non c'è il rito motivazionale che si vede in Tutta la vita davanti, il film di Paolo Virzì sul mondo dei call center, ma a ogni contratto concluso dai nuovi, c'è in sala training l'applauso dei colleghi. E così avviene nella sala grande se qualcuno raggiunge il numero di contratti per ottenere il bonus in busta paga. Un concetto ce l'hanno spiegato subito: serviamo solo se vendiamo. Perché la somma dei nostri contratti fa il risultato del team leader, i loro risultati sono il target della Mastercom col committente, Wind-Infostrada. "Ma se l'azienda fissa gli obiettivi, mette a disposizione le sue strumentazioni e gestisce turni e assenze, si configura una posizione da lavoratore dipendente", spiega Davide Ferrario, del Nidil, il sindacato dei precari della Cgil. Dopo una settimana, il mio gruppo non esiste più. Eravamo in 17 il primo giorno, siamo rimasti in 5. L'ultimo contratto che vedo è di Luca, rimasto in sala training una settimana in più, mentre quelli arrivati con lui sono già nella sala grande. È stato 15 giorni in attesa di questo momento: contratto Adsl a una romena di 18 anni. A fine giornata, tira fuori il telefonino e immortala l'evento. Fa una foto alla lavagna col suo nome accanto al disegno di un visino sorridente".
Io cavia nel call center. Cronaca di una vita precaria di Sandro De Riccardis
su La Repubblica del 17 ottobre 2008

mercoledì 15 ottobre 2008

La crisi esalta il valore dei talenti.

Secondo un interessante articolo pubblicato oggi su Il Sole 24 Ore e che vi riporto di seguito per comodità e facilità di lettura, il calo dei fatturati spinge le aziende a sviluppare la centralità delle competenze e per i direttori del personale crescerà la richiesta di dipendenti dotati di leadership e attitudine al rischio.

"Forse questa sarà la prima volta che, almeno in Italia, le imprese decideranno di scommettere realmente sui talenti. A innescare il cambio di rotta l’emergenza sui mercati finanziari e il rischio di ripercussioni anche sull’economia reale. Investimenti rivisti al ribasso, taglio del personale, calo della domanda e maggiore concorrenza internazionale costringeranno infatti piccole e grandi aziende ad abbandonare la centralità del brand Italia come strategia esclusiva di mercato e a scommettere con maggior determinazione sulla creatività del proprio capitale umano.
Soprattutto sulla capacità dei dipendenti di innescare cicli progettuali inediti e convertibili a breve e medio termine in occasioni concrete di business. Ne è convinto Roberto Savini Zangrandi, presidente nazionale dell’Aidp, l’associazione italiana che riunisce i direttori del personale, formatori, esperti di organizzazione, gestione e sviluppo delle risorse umane, nonché direttore del personale del Consorzio per il Sistema informativo piemontese: «In Italia - premette - si fa una gran confusione sul concetto di talento. Noi definiamo talentuose quelle persone che sanno fare la differenza, grazie a un mix di leadership, fantasia e attitudine al rischio. Di gente del genere - continua - le imprese hanno un costante bisogno, ma in special modo oggi, in una situazione complicata come quella verso cui stiamo andando incontro».

Evidente che il 2009 sarà un anno difficile per tutti ma, come si dice, di necessità virtù. Almeno questo è il messaggio, e il consiglio, che Savini si sente di mandare al tessuto produttivo italiano: «Le aziende effettueranno licenziamenti, si vedranno ridimensionare i finanziamenti dagli istituti di credito e si assisterà a una riduzione dei player che potranno permettersi di investire in maniera massiccia nella componente umana di alto profilo. Ci troveremo quindi in una situazione in cui aumenterà la disponibilità sulmercato di persone talentuose a prezzi però inferiori rispetto al passato. Si apriranno quindi maggiori occasioni per le realtà disposte a scommettere sulla carica energetica che questi individui sono in grado di fornire».

La sfida, soprattutto per le piccole e medie aziende, potrebbe però essere anche quella di trovare al proprio interno quei talenti nascosti che per esprimersi avrebbero solo bisogno di essere riconosciuti come tali e accompagnati in un percorso di crescita e costruzione di nuove professionalità. Formazione accademica, tutoraggio aziendale e autoapprendimento on the job in un contesto ispirato al lifelong learning la ricetta per quegli imprenditori che non possono accedere al mercato del lavoro dei talenti a causa delle esigue risorse economiche.

«Fino ad oggi - spiega Giustiniano La Vecchia, managing director di EdòGroup, altra realtà che si occupa di human resources - le imprese non si sono mai preoccupate dell’importanza delle risorse umane d’eccellenza. La gestione dei talenti in sé non è un affare poi così complicato, più complesso è invece inculcare alle aziende la voglia di investire sulle persone, anche perché tali investimenti devono poi trasformarsi in progetti concreti. Bisogna in altre parole operare un trasferimento dalla centralità del brand al vero valore su cui può contare oggi chi produce, vale a dire le persone. Ogni dipendente deve avere la chiara certezza che qualcuno crede e sta investendo su di lui. Larealtà è però diversa: in molti casi nelle aziende non esiste una figura indispensabile come quella di un mentore che affianchi nei primi 18 mesi chi entra nel mondo del lavoro».

Non ci sono alternative, la strada obbligata è affrontare la recessione e giocare d’attacco: «Non dimentichiamo che in Italia - conclude La Vecchia - con tutti i problemi connessi alla formazione, possiamo contare su scuole e università estremamente valide e abbiamo a disposizione tanti talenti che aspettano solo di essere valorizzati, basta la volontà di intervenire sulle risorse umane in maniera qualitativa e non quantitativa».

É quello che sta chiedendo il mercato globale e, da questo punto di vista, forse la crisi mondiale del credito potrà contribuire a dare uno scossone nella direzione giusta".
La crisi esalta il valore dei talenti di Massimiliano Del Barba
su Il Sole 24 Ore del 15 ottobre 2008, pag. 31

giovedì 9 ottobre 2008

Business Game: Bnp Paribas lancia Ace Manager.

BNP Paribas annuncia il lancio di Ace Manager, il primo ''banking adventure game'' basato su situazioni di esperienza lavorativa reale. Una iniziativa che segue altre esperienze di successo come è il caso di L'Orèal il cui business game si può dire che ormai abbia fatto scuola, ma che se non altro è originale e innovativa per il settore bancario. L'iniziativa coinvolge le scuole di business e gli studenti universitari di 26 paesi nei 5 continenti ed è parte della strategia di gruppo volta ad aumentare la conoscenza di BNP Paribas tra i giovani e a elevare la notorieta' dell'employer brand di gruppo, con l'obiettivo di diventare una delle aziende maggiormente ambite al mondo per cui si desidera lavorare.

D'altra parte, almeno per quanto riguarda l'Italia, il gruppo Bnl Bnp Paribas, nato da poco più di un anno dopo l'acquisizione della Banca Nazionale del Lavoro da parte dei francesi di Bnp Paribas, ha registrato un sostanziale miglioramente della propria employer value proposition classificandosi al 31° posto come employer di riferimento nella classifica 2008 della Best100, le aziende preferite dagli italiani di PeopleValue, in netto miglioramento rispetto alla XX posizione registrata nell'analoga rilevazione del 2007 e pur in un contesto, come quello del 2008, nel quale le preferenze lavorative dei diplomati e dei laureati intervistati si sono indirizzate per la maggior parte veso altri segmenti dell'economia penalizzando principalmente l'appetibilità di una carriera nel settore della finanza, anticipando per un certo verso quanto sta accadendo in questi giorni, visto che le interviste per la realizzazione dell'indagine sono state effettuate nei mesi di giugno e luglio di quest'anno, quindi ben un trimestre prima dello scoppio della drammatica crisi che ha coinvolto il mondo della finanza a livello globale.

Tornando all'iniziativa di Bnp Paribas, per accrescere la ''brand awareness'' nel mondo degli studenti, l'istituto di credito con Ace Manager, punta a capitalizzare la sua grande esperienza nel tennis (settore dove è presente da diversi anni con sponsorizzazioni di rilievo tra cui Roland Garros, Davis Cup by BNP Paribas e Internazionali BNL d'Italia) affiancandola ad un innovativo approccio nel recruitment.

Ace Manager è stato progettato per dare agli studenti una conoscenza delle tre attività di core business del Grupp Retail Banking, del Corporate and Investment Banking e dell'Asset Management & Services. I 3 casi aziendali, basati su reali esperienze del business bancario e del mondo del tennis, testeranno l'attitudine dei partecipanti a lavorare nelle diverse attività bancarie. Verrà inoltre richiesto loro di dimostrare le proprie capacità nei 4 principali valori di BNP Paribas: reattività, creatività, ambizione e impegno. La Banca inviterà le migliori 5 squadre a Parigi il prossimo aprile per confrontarsi, in finale, con un nuovo caso aziendale. L'intero business game si disputerà interamente in lingua inglese (che rivoluzione per un'azienda che pur con interessi globali ha il suo ponte di comando in Francia) e un panel di esperti giudicherà l'ultima prova che riguarderà una situazione pratica, direttamente attinente al mondo BNP Paribas.

Gli studenti possono registrarsi dal 17 Novembre sul sito dedicato alla competizione: acemanager.bnpparibas.com.

Il gioco si svolgerà online durante 6 settimane, dal 4 febbraio al 18 marzo 2009.





BNP Paribas Ace Manager from BNP Paribas Ace Manager on Vimeo.

lunedì 6 ottobre 2008

Talent Shortage.

La crisi di talenti sta creando cambiamenti strutturali nella forza lavorativa e i datori di lavoro che non vi prestano attenzione potrebbero ritrovarsi velocemente nei guai. È quanto si legge nel Libro bianco Manpower intitolato Talent shortage 2008.

La carenza di talenti non può più essere considerata come una crisi all’orizzonte. In molte regioni e in molti settori industriali è una crisi già in corso che minaccia di acutizzarsi e diffondersi ulteriormente. La carenza di talenti costituisce una minaccia alla crescita economica e alla prosperità mondiali. Sebbene molti dei problemi associati alla carenza dei talenti siano ampiamente riconosciuti,
le aziende, le pubbliche amministrazioni e i singoli devono ancora abbracciare o implementare in maniera estesa potenziali soluzioni della cui applicazione sono pronti a beneficiare, secondo quanto si legge sul report.


Gli orizzonti lavorativi degli italiani guardano poi sempre più spesso oltre le frontiere della Penisola. L'indagine condotta da Manpower sul fenomeno della fuga dei cervelli attraverso un sondaggio che ha coinvolto oltre 30mila tra imprenditori e lavoratori dipendenti, in 27 paesi, ha registrato per l'Italia che il 42% dei datori di lavoro italiani è preoccupato dalla mobilità dei talenti, che espatriano all’estero alla ricerca di opportunità più appaganti e qualificanti, e l’87% sostiene che le normative vigenti non sono sufficienti a rendere attraente l’Italia.

La questione della fuga potrebbe rappresentare un circolo virtuoso se solo esistesse la tendenza a rientrare nel mercato interno, magari arricchiti da esperienze professionali e culturali distanti. Ma al momento sembrerebbe che la chiusura del cerchio resti incompleta. In Italia infatti non si trova terreno fertile in termine di sfide e opportunità, e al contempo non si trovano multinazionali con la voglia di investire in un paese burocratizzato e tassato. Il crocevia verso l'opportunità, così, prende la direzione delle nuove economie, come la Cina o la Russia, verso cui i grandi gruppi stanno dimostrando apprezzamento crescente.

Anche nella fascia top si è di fronte a un rallentamento. Gli spiragli per puntare in alto si sono ristretti, ma non mancano. Secondo i dati elaborati da Manpower, le posizioni aperte nei segmenti dirigenziali sono inferiori rispetto all’ultimo anno di espansione che coincide con il 2007.

E se entrare nel mondo del lavoro e bruciare le tappe è una cosa complicata, esiste almeno qualche accortezza per avere più chance. La prima è fare le esperienze giuste, anche all’estero. Accrescere il proprio bagaglio culturale, infatti, permette poi di capitalizzare nel mondo del lavoro e godere di più referenze una volta al tavolo delle trattative. Secondo un recente studio effettuato dal Censis i lavoratori dipendenti emigrati all’estero, nel 32,1% dei casi, a tre anni dalla laurea hanno una posizione di quadro o funzionario, contro il 17,1% in Italia. L’accesso precoce alla dirigenza, invece, è equivalente nei due casi: circa il 2% dei casi.

Anche in Italia, intanto, i contratti dirigenziali si stanno adeguando alle caratteristiche tipiche degli impieghi manageriali europei o americani. Stipendio fisso più una quota variabile, che cambia in base ai risultati sebbene per quanto attiene al monte stipendi, secondo il Censis il confronto tra Italia ed estero si fa impietoso. Il peso della busta paga è sotto i 1.000 euro netti al mese per il 24,6% dei giovani rimasti in patria, dunque circa un quarto del totale, contro il 10,2 di quelli che lavorano all’estero. Tra i 1.000 e i 1.300 euro le percentuali sono 40,4 contro il 16,4%. Ma è guardando alla fascia alta che il differenziale si fa evidente: tra chi ha trovato lavoro fuori dei confini nazionali lo stipendio supera i 1.700 euro al mese nel 43% dei casi, tra chi è rimasto a casa appena per il 9,2%.

Tre gli approcci individuati nel Libro Bianco di Manpower per rispondere alla carenza di talenti. Organizzare corsi di aggiornamento per rendere il personale più qualificato, innanzitutto, strumento peraltro meno dispendioso rispetto alla ricerca ex novo di figure adatte al ruolo. Inoltre rendere il posto di lavoro maggiormente attraente per i dipendenti. Allo stesso tempo è necessario creare un equilibrio accettabile tra lavoro e vita privata, incentivando accordi di maternità e paternità e indennità annuali di congedo retribuito. Senza dimenticare da ultimo la necessità di rafforzare il legame con la scuola e le università. In altre parole, fare employer branding.




Talent Shortage 2008: clicca qui per scaricare il testo completo.

venerdì 3 ottobre 2008

Le migliori aziende per la carriera secondo Business Week.

Qual è la società migliore per iniziare la propria carriera? Secondo Business Week, che ha pubblicato la classifica 2008 dei Best Place to Launch a Career, il posto migliore dove cominiciare la propria attività professionale sono le società di accounting, prima fra tutte Ernst&Young, seguita da Deloitte&Touche e da PWC al terzo posto. A chiudere questa sequenza, Kpmg al quinto posto, subito dopo Goldman Sachs, sebbene sotto pressione per gli scossoni che hanno recentemente colpito il mondo della finanza e delle banche d'affari in genere.

La classifica, dove troviamo anche Google in 7^ posizione, Ibm in 9^, Microsoft in 13^ e General Electric in 18^, è stata elaborata da Business Week accorpando i dati provenienti da tre diverse fonti. La prima quella dei responsabili dei placement office delle Università ai quali è stato chiesto di segnalare quali siano le aziende che riscontrano maggiore interesse nei rispettivi campus. Alle aziende citate è stato poi inviato un questionario chiedendo di indicare stipendio, benefit, formazione e programmi specifici dedicati ai talenti i cui dati sono poi stati comparati con quelli delle altre aziende nello stesso settore. E infine è stata presa in considerazione la classifica sulle aziende preferite nelle quali lavorare elaborata da Universum Communications per il mercato americano.

Al di là del sistema utilizzato per elaborare la classifica, il dato interessante che emerge dall'indagine è che le aziende oggi si trovano a competere per i migliori talenti non solo con i competitor dello stesso settore merceologico, ma anche con gli altri. E' infatti emerso che la nuova generazione di studenti universitari americani è mentalmente più aperta rispetto alle precedenti e maggiormente disposta a sperimentare percorsi di carriera diversi. Può capitare così che aziende come appunto Goldman Sachs si trovino a competere nella ricerca dei talenti nella stessa arena competitiva di Google, Lockheed Martin Corporation o Boston Consulting Group.

La nuova generazione che sta per affacciarsi al mercato del lavoro, che negli Usa definiscono i Millennials, è più ansiosa di avere feedback sulla propria attività e impaziente di avere un impatto sull'organizzazione della quale entra a far parte. Più abituati al networking delle precedenti generazioni, grazi anche a fenomeni come Facebook e MySpace, i ragazzi di questa generazione hanno più familiarità con gli skill richiesti dalle grandi aziende, sanno usare meglio le applicazioni informatiche e sono più predisposti a lavorare in team, ma al tempo stesso, grazie anche al passaparola, sono più smaliziati e in grado di valutare meglio le offerte delle aziende. E questo provoca allora una risposta che va verso la garanzia di salari e benefit più competitivi unitamente ad una richiesta di maggiroe responsabilità e di un persorso di carriera più veloce con i rischi che questo meccanismo può comportare.

Secondo WetFeet una società di ricerca e di consulenza di San Francisco, il numero delle persone alla ricerca del primo impiego che hanno ricevuto più di una offerta di lavoro è costantemente aumentato negli ultimi 5 anni negli Usa e l'82 per cento di loro si dichiara certo di riuscire a scegliere il lavoro che più gli piace. E questa competizione sta facendo lievitare anche i salari d'ingresso: lo stipendio medio di un giovane laureato nel settore dell'accounting è cresciuto del 5,5 per cento a 45.656 dollari, mentre quello di un ingegnere, sempre al primo impiego, è cresciuto del 5,4 per cento a 46.023 dollari.

Così come tra le prime 25 aziende citate nella classifica, ben 21 offrono programmi di formazione e di training per migliorare le proprie competenze professionali e accelerare il percorso di carriera perchè, come riportato dal survey, i giovani laureati oggi nel guidicare un'offerta valutano molto più con attenzione il percorso professionale che gli viene offerto e in che modo l'azienda, con adeguati percorsi di formazione, investa sulle loro capacità e competenze. Insomma i parametri fondamentali su cui si basa l'attività di campus recruiting, di attraction dei talenti e di promozione dell'employer branding sono destinati a cambiare e per certi versi stanno già cambiando. Vedremo successivamente come.






Di seguito la classifica di Business Week sulle migliori 100 aziende nelle quali iniziare la propria carriera, edizione 2008: Business Week, Best Places to Launch a Career