mercoledì 19 dicembre 2007

Fiducia nelle prospettive d'impiego e di carriera (3).

Gli indici di sfiducia nel lavoro che di per sé già evidenti nelle regioni del Mezzogiorno assumo particolare rilevanza poi in Sicilia, 43,5 per cento, in Campania, 44,3 per cento fino al dato negativo della Calabria che esprime tutto il dramma di un territorio afflitto da un disagio economico sociale particolarmente significativo con il 64,9 per cento degli intervistati che vedono nero il proprio presente lavorativo e anche il proprio futuro, percentuale che arriva al 70 per cento se si considera la sola componente femminile.

Le difficoltà del mercato del lavoro nelle regioni meridionali si riverberano in maniera amplificata sulla componente femminile. Nel 2006 il tasso di occupazione delle donne nel Mezzogiorno è stato pari al 31 per cento, oltre 15 punti percentuali al di sotto della media nazionale. In particolare risulta grave il ritardo di partecipazione delle donne in coppia con figli tra i 35 e i 44 anni, età nella quale sono più rilevanti gli ostacoli posti dagli impegni familiari che ne condizionano in modo grave l’inserimento nel mercato del lavoro.


Un dato che trova riscontro anche nella diversa percezione che uomini e donne hanno delle opportunità a loro riservate dal mercato del lavoro e che viene evidenziato dal divario in termini percentuali del tasso di fiducia nel lavoro analizzando le risposte dei partecipanti all’indagine per genere.

Se infatti gli uomini che ritengono che oggi sia più difficile trovare lavoro rispetto a sei mesi fa si attesta attorno al 35,3 per cento con una percentuale di ottimisti in crescita al 15,2 per cento, nelle risposte delle donne intervistate otteniamo una percentuale di sfiducia del 38,9 per cento, più alta della componente maschile di oltre tre punti percentuali e di ottimismo che si ferma al 9,3 per cento inferiore di circa sei punti percentuali alla percezione rilevata dai colleghi uomini.

Il problema della disoccupazione resta prioritario non solo come abbiamo visto per il Mezzogiorno, ma anche per i giovani dove raggiunge un tasso pari al 21,6 per cento. Va osservato a tale proposito che tassi di attività e d’occupazione bassi non sono soltanto un limite alle potenzialità di crescita economica ma, soprattutto, un ostacolo rilevante alle potenzialità di realizzazione sociale e di crescita individuale di gruppi consistenti di popolazione.
In Italia la partecipazione del gruppo più giovane della popolazione in età attiva è sceso ad un livello particolarmente basso: una tendenza che non emerge tra i comportamenti tipici di altri Paesi che hanno sperimentato prima tassi di scolarizzazione elevati. Nel 2006 il tasso di attività e quello di occupazione giovanile risultano in Italia inferiori di quasi 15 punti percentuali rispetto alla media UE15. Anzi, il differenziale si è ampliato di sei punti di dieci anni. L’ingresso ritardato nel mondo del lavoro può essere ricondotto sia a fenomeni di scorag-giamento – e qui particolare incidenza ha l’abbandono della ricerca di lavoro da parte di parte della popolazione giovanile, soprattutto di sesso femminile al Sud - sia ad una crescente propensione ad allungare i percorsi formativi. Sempre secondo gli ultimi dati del Rapporto Istat circa l’88 per cento delle persone in età compresa tra i 15 e i 24 anni in condizione non attiva risulta impegnato nel sistema formativo.

Anche in questo caso dall’analisi delle risposte degli intervistati per tipologia di attività risultano dei dati estremamente significativi con chi ha già un impiego che esprime percentuali di preoccupazione sensibilmente inferiori rispetto a chi come studenti e neolaureati in cerca di prima occupazione si trovano a dover affrontare un mercato del lavoro che viene percepito per nulla rassicurante sulle opportunità di impiego e di realizzazione professionale.

Appena l’11 per cento degli studenti e dei neolaureati pensa che sia oggi più facile trovare un lavoro rispetto a sei mesi fa contro il 15,3 per cento di coloro che risultano già impiegati, mentre se si guarda al futuro le cose non cambiano. Anche in questo caso chi si affaccia sul mondo del lavoro esprime maggiori preoccupazioni rispetto a chi è già occupato. A livello più generale lo sguardo al futuro non sembra cambiare di molto le percezioni degli italiani. Anzi, il tasso di fiducia se possibile tende a diminuire. La percentuale di intervistati che ritiene che tra sei mesi sarà più facile trovare lavoro scende dal 15,9 per cento della passata edizione al 13,7 per cento registrando un calo di due punti percentuali, mentre in crescita è la percentuale dei pessimisti che sale al 34,9 per cento con un incremento di tre punti percentuali rispetto all’anno precedente.

Per il resto i dati non cambiano di molto, con le donne sempre un po’ più pessimiste degli uomini anche se lo sguardo volge al futuro e i residenti al Nord sempre più ottimisti sulle future possibilità di impiego. Vedono uno scenario positivo nei prossimi sei mesi il 15,7 per cento dei residenti al Nord contro il 9,3 per cento di coloro che risiedono nel Mezzogiorno, mentre la percentuale di persone che esprimono preoccupazione per il futuro è del 31,1 per cento tra i residenti al Nord, del 37,2 del Centro e del 43 al Sud.

E’ inoltre ripreso in Italia il movimento migratorio interno della popolazione con il Mezzogiorno che rappresenta la principale area di origine dei flussi migratori diretti prevalentemente al Nord-Est e al Centro.

Secondo quanto riportato dal Rapporto Istat i 375 sistemi locali del lavoro meridionali a tessuto produttivo debole anche per la mancanza di una specializzazione, cedono popolazione ai 311 sistemi locali distribuiti prevalentemente in Toscana, Lombardia ed Emilia Romagna.

In questi spostamenti entrano in gioco le condizioni del mercato del lavoro nella zona d’origine e in quella di destinazione e dunque, in ultima istanza anche la forza relativa alla struttura produttiva. Le tendenze spontanee del sistema produttivo italiano privilegiano infatti alcune porzioni di territorio, in particolare quelle con caratteristiche urbane e ne escludono altre specialmente nel Mezzogiorno.

A tale proposito le città sono un elemento di dinamismo capace di creare valore in questa fase di difficoltà del tradizionale del modello distrettuale italiano. Nei 46 sistemi locali con caratteristiche urbane risiedono infatti gli headquarter delle imprese di dimensioni maggiori, i servizi evoluti, la ricerca e sviluppo e, ancora adesso, una parte importante della manifattura.

Ecco quindi che aumenta la propensione al trasferimento come risposta alla carenza d’offerta del territorio d’origine. Il 56 per cento degli intervistati si dichiara infatti disposto a trasferirsi sia in Italia ma anche all’estero pur di trovare lavoro o di migliorare la propria condizione professionale in crescita di più di tre punti percentuali rispetto al dato dell’anno passato quando questa percentuale si fermava al 52,5 per cento – con punte dell’82,4 per cento tra i residenti in Sardegna - e con un trend più complessivo che vede diminuire sensibilmente chi non si dichiara disponibile al trasferimento, 9,3 per cento rispetto al 10,9 di un anno fa.

venerdì 14 dicembre 2007

Fiducia nelle prospettive d'impiego e di carriera in Italia (2).

Per quanto riguarda più direttamente il profilo dell’occupazione, l’Italia rimane a un livello nettamente inferiore rispetto al resto d’Europa.
Infatti nel 2006 il tasso di occupazione in Italia ha raggiunto il 58,9 per cento contro il 65,9 per cento della media UE15 e il 64,6 per cento dell’UE25, in un contesto nel quale comunque il mercato del lavoro italiano ha riflesso il buon andamento dell’attività produttiva.
Gli occupati sono infatti aumentati dell’1,9 per cento e il tasso di disoccupazione è sceso nel 2006 al 6,8 per cento dal 7,7 dell’anno passato. Ma, mentre nel Nord il tasso di disoccupazione è pari al 3,8 per cento, con punte del 3,5 nel Nord Est, nel Mezzogiorno arriva all’11,4 per cento.

Un dato che esprime, sia pure in un contesto positivo di crescita, la complessità del sistema Paese in tema di occupazione e che occorre tenere presente nell’analisi dei dati sulla fiducia nel lavoro.


Infatti alla domanda se sia più facile o difficile oggi trovare lavoro rispetto a sei mesi fa , il 36,62 per cento degli intervistati ha risposto che è più difficile (erano il 38,3 per cento nell’edizione passata) anche se migliora il numero degli ottimisti, passati dall’8,3 al 12,8 per cento.

Ma mentre al Nord la percentuale di persone che ritengono sia oggi più semplice trovare lavoro è del 17 per cento in crescita di ben sette punti rispetto all’anno precedente - con punte del 25 per cento in Trentino Alto Adige, che con un tasso di disoccupazione del 2,5 per cento nel I trimestre 2007 è anche la Regione italiana con il più alto tasso di occupati, e del 22 per cento in Friuli – nel Centro e nel Mezzogiorno la situazione è completamente diversa con percentuali che si fermano rispettivamente all’8,9 e al 7,8 per cento sia pure con una modesta crescita rispetto all’anno precedente.

In Centro l’unica area nella quale si registra un maggior tasso di fiducia sono le Marche con il dato relativo alle persone che ritengono più facile oggi trovare lavoro rispetto a sei mesi fa che raggiunge il 12,5 per cento, mentre per il Mezzogiorno la situazione appare molto più complessa.

Il Sud presenta infatti forti elementi di arretratezza anche sotto il profilo delle imprese. Nel Mezzogiorno si concentra infatti il 43 per cento delle aziende che l’Istat definisce di sopravvivenza, che cioè si limitano a cercare di produrre un reddito adeguato senza guardare a orizzonti lontani.

Le situazioni peggiori di disoccupazione si rilevano infatti in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia con tassi di inoccupazione che nelle prime tre Regioni superano abbondantemente l’11 per cento per arrivare al 14 per cento in Sicilia.


FIDUCIA NEL LAVORO E NELLE PROSPETTIVE DI CARRIERA
(Fonte: Best100, le aziende preferite dagli italiani - Vi ed., 2007)


Ritiene che oggi rispetto a 6 mesi fa sia più facile o più difficile trovare lavoro?
Più facile 12,8% (2007) - 8,3% (2006)
Più difficile 36,2% (2007) - 38,3% (2006)
Non so 50,6% (2007) - 53,2% (2006)


Ritiene che tra 6 mesi rispetto ad oggi sarà più facile o più difficile trovare lavoro?
Più facile 13,7% (2007) - 15,9% (2006)
Più difficile 34,9% (2007) - 31,9% (2006)
Non so 51,4% (2007) - 53,2% (2006)


(2^ parte - Segue)

Fiducia nelle prospettive d'impiego e di carriera in Italia (1).

L'andamento del tasso di fiducia nel lavoro è, tra le altre, una delle variabili che vengono investigate dall'indagine Best100, le aziende preferite nelle quali lavorare di PeopleValue.

L'obiettivo è molto semplice. Si tratta di fornire alle aziende che utilizzeranno le evidenze emerse dall'indagine per l'impostazione delle proprie politiche di employer branding, anche uno strumento operativo che sia in grado di aggiungere un'informazione in più. Ovvero, qual è l'animo dei nostri futuri e potenziali collaboratori, in relazione a quelle che possono essere specifiche situazioni di mercato in una determinata zona o Regione o, più in generale, al trend che si registra a livello nazionale.

E' un dato che spesso molti trascurano ma ad avviso di chi scrive estremamente importante perchè assolve al compito di restituire uno spaccato della realtà nazionale e delle singole realtà locali o regionali estremamente importante per l'employer branding manager perchè fornisce indicazioni sullo stato d'animo dei potenziali candidati con i quali andrò a parlare.

Tanto per fare un esempio, una forte sfiducia nella possibilità di trovare lavoro, porterà come conseguenza la ricerca da parte di coloro che la esprimono di aziende che siano in grado di assicurare principalmente la sicurezza del posto di lavoro.

E' un elemento indispensabile da conoscere nella realizzazione di una corretta strategia di employer branding non tanto per reagire di conseguenza ed impostare la comunicazione evidenziando, come nel caso in esempio, la solidità dell'azienda nella comunicazione dei valori aziendali, quanto per comprendere meglio il diverso approccio al lavoro da parte di differenti segmenti di popolazione presa in esame in base a clusterizzazioni per caratteristiche socioeconomiche e di residenza del target in questione, nella fattispecie, i miei potenziali candidati rispetto ai colleghi residenti in una determinata area d'azione o in possesso di determinate caratteristiche (ad esempio i laureati in ingegneria, informatica e matematica rispetto ai laureati in discipline economiche o ancora verso quelli in possesso di laurea ad indirizzo sociale e umanistico).

Prima di entrare nel vivo del tema vediamo di inquadrarlo in quella che è la realtà italiana. Da questo punto di vista una prima analisi delle evidenze emerse ci porta a dire che seppure un po’ meno pessimisti, gli italiani a caccia di lavoro sono sempre ansiosi e preoccupati. Che lo si abbia o che lo si cerchi, l’impiego è ancora un grave motivo di inquietudine e la maggioranza degli italiani pensa che trovarne uno nel prossimo futuro sarà sempre più difficile.

Le risposte fornite dagli intervistati si inseriscono all’interno di un più vasto contesto economico nel quale l’Italia riparte, come evidenziato dall’ultimo Rapporto Istat che registra i tanti passi avanti compiuti dal sistema Paese, come l’aumento del Pil e della produzione industriale che si sono tradotti in un consistente aumento dei posti di lavoro, ma che rileva anche i persistenti ritardi rispetto alla media e ai principali Paesi europei e i perenni dualismi che la ripresa non cancella.


A cominciare da quello Nord e Sud che continua a spaccare il Paese in due parti che in comune hanno ben poco. E poi quello tra imprese cosidette di sopravvivenza, che sono un terzo del totale, e quelle che invece innovano e hanno saputo reggere il confronto della concorrenza consolidando il proprio business.

In particolare la crescita dell’1,9 per cento registrata dal Pil nel 2006, rappresenta il ritorno allo sviluppo dopo un quadriennio di stagnazione che, con un ritmo medio d’espansione di appena lo 0,4 per cento, ha segnato la performance peggiore dal dopoguerra e anche all’interno dell’UE.

Di particolare rilevanza l’espansione del settore industriale con una crescita del 2,6 per cento e dove la ripresa si staglia in modo più netto rispetto agli altri comparti soprattutto quello dei servizi che registrano un’accelerazione debole e molto meno accentuata di quella registrata nel resto dell’UE.

In particolare è rimasta molto al di sotto di quella europea in servizi quali il credito e le attività professionali e imprenditoriali, forse anche per l’aumento del grado di penetrazione dell’offerta estera in questo settore che si rileva in modo particolare nel settore del credito e che ha avuto come conseguenza anche una maggiore incidenza degli istituti di credito esteri nella lista delle preferenze lavorative degli intervistati rispetto alle passate edizioni.
Comunque, sebbene l’Italia nel suo complesso rimane un sistema frenato dal nanismo – molte imprese e pochi dipendenti è la caratteristica principale del sistema produttivo italiano, dove un lavoratore su tre è autonomo – vi è stato un segmento notevole di imprese reattive, che hanno adeguato i propri standard produttivi alle richieste del mercato, che si sono affermate grazie all’innovazione, soprattutto nel comparto dell’industria e di tutti quei settori legati al Made in Italy, come il tessile, l’abbigliamento e il lusso.

Una situazione questa che peraltro trova riscontro nel miglioramento del percepito aziendale in termini di employer of choice proprio di quelle aziende del comparto industriale - Fiat, Eni, Enel, Finmeccanica – che costituiscono il perno del sistema produttivo italiano e di quelle legate al comparto del fashion e al concetto del Made in Italy – Armani, Gucci, Dolce&Gabbana, Bulgari – e che ritroviamo puntualmente nelle risposte degli intervistati.

(1^ parte - Segue)

lunedì 10 dicembre 2007

Employer branding: le donne preferiscono le aziende del largo consumo e della moda.

Il 2007 è stato l’Anno Europeo delle Pari opportunità e il nostro Paese lo ha affrontato con un gap di genere ancora molto rilevante nell’ambito del mercato del lavoro.

Il problema dell’occupazione femminile in Italia è ancora tutto da affrontare. A livello qualitativo, a livello retributivo, organizzativo, ma prima ancora dal livello elementare: quello quantitativo. Ci sono province in cui la percentuale di donne occupate supera di poco il 20 per cento.

La differenza tra tasso di occupazione maschile e tasso di occupazione femminile, nello stesso territorio, è di 20 punti nelle situazioni meno drammatiche e arriva addirittura a 40 punti percentuale in alcune Regioni del Sud dove il problema della mancanza di lavoro si vive con maggiore intensità. Mancano ancora le politiche non solo del lavoro ma sociali e della famiglia che creino le condizioni necessarie a cambiare la situazione.

Il fenomeno è diffuso praticamente in tutto il territorio nazionale. Anche nelle situazioni migliori il gap tra percentuali di uomini in età da lavoro occupati e percentuali di donne in età da lavoro occupate è di almeno 20 punti, 15 nei casi di eccellenza. A cominciare dalla media italiana: 57,5 per cento il tasso di occupazione, ma quello maschile è del 69,7 per cento mentre quello femminile si ferma al 45,3 per cento.

Nel Mezzogiorno la situazione è ulteriormente drammatica: nella Regione meno occupata d’Italia la Sicilia, dove il tasso medio arriva appena al 44 per cento, la percentuale di donne occupate è meno della metà di quella degli uomini: 28,2 contro 60,5.

Sono ancora i numeri a dire che anche quando va bene, anzi benissimo, le donne lavorano molto meno degli uomini: il tasso di occupa-zione maschile più elevato viene raggiunto dalla provincia di Reggio Emilia, l’ 81,7 per cento. Quello di occupazione femminile più elevato si registra a Bologna ed è del 63,2 per cento. Ovvero: 18,5 punti in meno. In ogni caso va dato merito all’Emilia Romagna di essere la Regione italiana con il più alto tasso di occupazione femminile, 61,5 per cento che va ben oltre l’obiettivo 2010 della strategia di Lisbona del 60 per cento.

Il raffronto con l’Europa poi è particolarmente desolante. Con una dato di occupazione femminile pari al 45,3 per cento l’Italia è penultima in classifica superata perfino dalla Grecia (46,2 per cento), con una media UE a 25 del 56,2 per cento e tassi di occupazione medi che vanno nei singoli Paesi europei dal 57,9 per cento della Francia al 59,3 per cento della Germania, dal 65,8 per cento della Gran Bretagna al 70,8 per cento della Danimarca fino alla punta d’eccellenza rappresentata dall’Islanda con l’81,6 per cento.

E’ questa la fotografia della realtà italiana dalla quale occorre partire per analizzare i dati relativi alle differenti scelte che uomini e donne intervistati hanno espresso in merito alle aziende nelle quali potendo scegliere vorrebbero lavorare che anche a fronte della considerazione che nella fascia d’età 25-34 anni gli uomini con almeno un titolo di studio secondario superiore superano a malapena il 60 per cento, mentre le donne arrivano quasi al 70 per cento.
Inoltre oltre una 25enne su quattro risulta aver conseguito la laurea, contro meno di un uomo su cinque.

Nonostante questo l’accesso al lavoro stabile per le donne rimane difficoltoso così come la conquista di un reddito adeguato e di una condizione soddisfacente in termini di percorsi di carriera e di sviluppo di competenze. Le donne arrivano ai livelli dirigenziali ma hanno difficoltà a conquistare i vertici decisionali. Secondo Eurostat in Italia la percentuale di dirigenti donne è del 20 per cento rispetto ad una media europea del 30 per cento e solo il 2 per cento raggiunge in Italia posizioni apicali rispetto al 10 per cento della media europea.

Le cause sono complesse e da ricercarsi nei meccanismi culturali del Paese, nella mancata adozione di politiche per la famiglia che inevitabilmente si riperquotono sulla gestibilità da parte delle donne della propria condizione di lavoratrice e madre, ma anche nei ruoli tipicamente ricoperti dalle donne in azienda che tendono a privilegiare settori dove è maggiore l’apporto creativo, come il marketing la comunicazione, le relazioni esterne e le risorse umane.
Ruoli dai quali però è più difficile che emergano le prime linee destinate a guidare l’azienda.

Una tendenza questa che emerge e trova conferma anche dall’analisi delle preferenze che uomini e donne esprimono in merito all’azienda nella quale potendo scegliere vorrebbero lavorare e che tende a premiare, analizzando il dato relativo alle risposte delle intervistate donne, settori quali l’alimentare, il largo consumo e la moda.

Barilla ottiene tra le donne un plebiscito con una percentuale di consensi dell’11,9 per cento quasi doppia rispetto alla seconda azienda maggiormente citata, Procter&Gamble dove vorrebbero lavorare il 6,3 per cento delle donne intervistate. Sempre in ambito di preferenze al femminile troviamo altre aziende dell’alimentare e del largo consumo come Ferrero, Nestlè, Coca Cola ma anche L’Orèal, Johnson&Johnson e Unilever. Importante anche la presenza di aziende della moda e del lusso, come Bulgari, Gucci, Armani, LVMH e Dolce&Gabbana.

Nella sfera maschile invece all’ambitissima Ferrari si affiancano le aziende dell’industria, con la Fiat al secondo posto e all’8,7 per cento delle preferenze, seguita da Eni, Enel, General Electric e Finmeccanica, le aziende legate all’Information Technology come Microsoft, Ibm, Google, Siemens e HP che continuano a rappresentare un benchmark di riferimento per diplomati e laureati uomini assieme per certi versi al mondo delle banche e della consulenza.


Azienda preferita nella quale lavorare. Preferenze donne/uomini:
(fonte: Best100, le aziende preferite dagli italiani - VI edizione, 2007)

Preferenze Donne
1. Barilla
2. Procter&Gamble
3. Mediaset
4. Eni
5. Ferrari
6. Ferrero
7. Vodafone
8. Nestlè
9. Fiat
10. L'Orèal

Preferenze Uomini
1. Ferrari
2. Fiat
3. Barilla

4. Microsoft
5. Eni
6. Ferrero
7. Procter&Gamble
8. Mediaset
9. Unicredit
10. Intesa San Paolo