venerdì 14 dicembre 2007

Fiducia nelle prospettive d'impiego e di carriera in Italia (1).

L'andamento del tasso di fiducia nel lavoro è, tra le altre, una delle variabili che vengono investigate dall'indagine Best100, le aziende preferite nelle quali lavorare di PeopleValue.

L'obiettivo è molto semplice. Si tratta di fornire alle aziende che utilizzeranno le evidenze emerse dall'indagine per l'impostazione delle proprie politiche di employer branding, anche uno strumento operativo che sia in grado di aggiungere un'informazione in più. Ovvero, qual è l'animo dei nostri futuri e potenziali collaboratori, in relazione a quelle che possono essere specifiche situazioni di mercato in una determinata zona o Regione o, più in generale, al trend che si registra a livello nazionale.

E' un dato che spesso molti trascurano ma ad avviso di chi scrive estremamente importante perchè assolve al compito di restituire uno spaccato della realtà nazionale e delle singole realtà locali o regionali estremamente importante per l'employer branding manager perchè fornisce indicazioni sullo stato d'animo dei potenziali candidati con i quali andrò a parlare.

Tanto per fare un esempio, una forte sfiducia nella possibilità di trovare lavoro, porterà come conseguenza la ricerca da parte di coloro che la esprimono di aziende che siano in grado di assicurare principalmente la sicurezza del posto di lavoro.

E' un elemento indispensabile da conoscere nella realizzazione di una corretta strategia di employer branding non tanto per reagire di conseguenza ed impostare la comunicazione evidenziando, come nel caso in esempio, la solidità dell'azienda nella comunicazione dei valori aziendali, quanto per comprendere meglio il diverso approccio al lavoro da parte di differenti segmenti di popolazione presa in esame in base a clusterizzazioni per caratteristiche socioeconomiche e di residenza del target in questione, nella fattispecie, i miei potenziali candidati rispetto ai colleghi residenti in una determinata area d'azione o in possesso di determinate caratteristiche (ad esempio i laureati in ingegneria, informatica e matematica rispetto ai laureati in discipline economiche o ancora verso quelli in possesso di laurea ad indirizzo sociale e umanistico).

Prima di entrare nel vivo del tema vediamo di inquadrarlo in quella che è la realtà italiana. Da questo punto di vista una prima analisi delle evidenze emerse ci porta a dire che seppure un po’ meno pessimisti, gli italiani a caccia di lavoro sono sempre ansiosi e preoccupati. Che lo si abbia o che lo si cerchi, l’impiego è ancora un grave motivo di inquietudine e la maggioranza degli italiani pensa che trovarne uno nel prossimo futuro sarà sempre più difficile.

Le risposte fornite dagli intervistati si inseriscono all’interno di un più vasto contesto economico nel quale l’Italia riparte, come evidenziato dall’ultimo Rapporto Istat che registra i tanti passi avanti compiuti dal sistema Paese, come l’aumento del Pil e della produzione industriale che si sono tradotti in un consistente aumento dei posti di lavoro, ma che rileva anche i persistenti ritardi rispetto alla media e ai principali Paesi europei e i perenni dualismi che la ripresa non cancella.


A cominciare da quello Nord e Sud che continua a spaccare il Paese in due parti che in comune hanno ben poco. E poi quello tra imprese cosidette di sopravvivenza, che sono un terzo del totale, e quelle che invece innovano e hanno saputo reggere il confronto della concorrenza consolidando il proprio business.

In particolare la crescita dell’1,9 per cento registrata dal Pil nel 2006, rappresenta il ritorno allo sviluppo dopo un quadriennio di stagnazione che, con un ritmo medio d’espansione di appena lo 0,4 per cento, ha segnato la performance peggiore dal dopoguerra e anche all’interno dell’UE.

Di particolare rilevanza l’espansione del settore industriale con una crescita del 2,6 per cento e dove la ripresa si staglia in modo più netto rispetto agli altri comparti soprattutto quello dei servizi che registrano un’accelerazione debole e molto meno accentuata di quella registrata nel resto dell’UE.

In particolare è rimasta molto al di sotto di quella europea in servizi quali il credito e le attività professionali e imprenditoriali, forse anche per l’aumento del grado di penetrazione dell’offerta estera in questo settore che si rileva in modo particolare nel settore del credito e che ha avuto come conseguenza anche una maggiore incidenza degli istituti di credito esteri nella lista delle preferenze lavorative degli intervistati rispetto alle passate edizioni.
Comunque, sebbene l’Italia nel suo complesso rimane un sistema frenato dal nanismo – molte imprese e pochi dipendenti è la caratteristica principale del sistema produttivo italiano, dove un lavoratore su tre è autonomo – vi è stato un segmento notevole di imprese reattive, che hanno adeguato i propri standard produttivi alle richieste del mercato, che si sono affermate grazie all’innovazione, soprattutto nel comparto dell’industria e di tutti quei settori legati al Made in Italy, come il tessile, l’abbigliamento e il lusso.

Una situazione questa che peraltro trova riscontro nel miglioramento del percepito aziendale in termini di employer of choice proprio di quelle aziende del comparto industriale - Fiat, Eni, Enel, Finmeccanica – che costituiscono il perno del sistema produttivo italiano e di quelle legate al comparto del fashion e al concetto del Made in Italy – Armani, Gucci, Dolce&Gabbana, Bulgari – e che ritroviamo puntualmente nelle risposte degli intervistati.

(1^ parte - Segue)

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