Il 2007 è stato l’Anno Europeo delle Pari opportunità e il nostro Paese lo ha affrontato con un gap di genere ancora molto rilevante nell’ambito del mercato del lavoro.
Il problema dell’occupazione femminile in Italia è ancora tutto da affrontare. A livello qualitativo, a livello retributivo, organizzativo, ma prima ancora dal livello elementare: quello quantitativo. Ci sono province in cui la percentuale di donne occupate supera di poco il 20 per cento.
La differenza tra tasso di occupazione maschile e tasso di occupazione femminile, nello stesso territorio, è di 20 punti nelle situazioni meno drammatiche e arriva addirittura a 40 punti percentuale in alcune Regioni del Sud dove il problema della mancanza di lavoro si vive con maggiore intensità. Mancano ancora le politiche non solo del lavoro ma sociali e della famiglia che creino le condizioni necessarie a cambiare la situazione.
Il fenomeno è diffuso praticamente in tutto il territorio nazionale. Anche nelle situazioni migliori il gap tra percentuali di uomini in età da lavoro occupati e percentuali di donne in età da lavoro occupate è di almeno 20 punti, 15 nei casi di eccellenza. A cominciare dalla media italiana: 57,5 per cento il tasso di occupazione, ma quello maschile è del 69,7 per cento mentre quello femminile si ferma al 45,3 per cento.
Nel Mezzogiorno la situazione è ulteriormente drammatica: nella Regione meno occupata d’Italia la Sicilia, dove il tasso medio arriva appena al 44 per cento, la percentuale di donne occupate è meno della metà di quella degli uomini: 28,2 contro 60,5.
Sono ancora i numeri a dire che anche quando va bene, anzi benissimo, le donne lavorano molto meno degli uomini: il tasso di occupa-zione maschile più elevato viene raggiunto dalla provincia di Reggio Emilia, l’ 81,7 per cento. Quello di occupazione femminile più elevato si registra a Bologna ed è del 63,2 per cento. Ovvero: 18,5 punti in meno. In ogni caso va dato merito all’Emilia Romagna di essere la Regione italiana con il più alto tasso di occupazione femminile, 61,5 per cento che va ben oltre l’obiettivo 2010 della strategia di Lisbona del 60 per cento.
Il raffronto con l’Europa poi è particolarmente desolante. Con una dato di occupazione femminile pari al 45,3 per cento l’Italia è penultima in classifica superata perfino dalla Grecia (46,2 per cento), con una media UE a 25 del 56,2 per cento e tassi di occupazione medi che vanno nei singoli Paesi europei dal 57,9 per cento della Francia al 59,3 per cento della Germania, dal 65,8 per cento della Gran Bretagna al 70,8 per cento della Danimarca fino alla punta d’eccellenza rappresentata dall’Islanda con l’81,6 per cento.
E’ questa la fotografia della realtà italiana dalla quale occorre partire per analizzare i dati relativi alle differenti scelte che uomini e donne intervistati hanno espresso in merito alle aziende nelle quali potendo scegliere vorrebbero lavorare che anche a fronte della considerazione che nella fascia d’età 25-34 anni gli uomini con almeno un titolo di studio secondario superiore superano a malapena il 60 per cento, mentre le donne arrivano quasi al 70 per cento.
Inoltre oltre una 25enne su quattro risulta aver conseguito la laurea, contro meno di un uomo su cinque.
Nonostante questo l’accesso al lavoro stabile per le donne rimane difficoltoso così come la conquista di un reddito adeguato e di una condizione soddisfacente in termini di percorsi di carriera e di sviluppo di competenze. Le donne arrivano ai livelli dirigenziali ma hanno difficoltà a conquistare i vertici decisionali. Secondo Eurostat in Italia la percentuale di dirigenti donne è del 20 per cento rispetto ad una media europea del 30 per cento e solo il 2 per cento raggiunge in Italia posizioni apicali rispetto al 10 per cento della media europea.
Le cause sono complesse e da ricercarsi nei meccanismi culturali del Paese, nella mancata adozione di politiche per la famiglia che inevitabilmente si riperquotono sulla gestibilità da parte delle donne della propria condizione di lavoratrice e madre, ma anche nei ruoli tipicamente ricoperti dalle donne in azienda che tendono a privilegiare settori dove è maggiore l’apporto creativo, come il marketing la comunicazione, le relazioni esterne e le risorse umane.
Ruoli dai quali però è più difficile che emergano le prime linee destinate a guidare l’azienda.
Una tendenza questa che emerge e trova conferma anche dall’analisi delle preferenze che uomini e donne esprimono in merito all’azienda nella quale potendo scegliere vorrebbero lavorare e che tende a premiare, analizzando il dato relativo alle risposte delle intervistate donne, settori quali l’alimentare, il largo consumo e la moda.
Barilla ottiene tra le donne un plebiscito con una percentuale di consensi dell’11,9 per cento quasi doppia rispetto alla seconda azienda maggiormente citata, Procter&Gamble dove vorrebbero lavorare il 6,3 per cento delle donne intervistate. Sempre in ambito di preferenze al femminile troviamo altre aziende dell’alimentare e del largo consumo come Ferrero, Nestlè, Coca Cola ma anche L’Orèal, Johnson&Johnson e Unilever. Importante anche la presenza di aziende della moda e del lusso, come Bulgari, Gucci, Armani, LVMH e Dolce&Gabbana.
Nella sfera maschile invece all’ambitissima Ferrari si affiancano le aziende dell’industria, con la Fiat al secondo posto e all’8,7 per cento delle preferenze, seguita da Eni, Enel, General Electric e Finmeccanica, le aziende legate all’Information Technology come Microsoft, Ibm, Google, Siemens e HP che continuano a rappresentare un benchmark di riferimento per diplomati e laureati uomini assieme per certi versi al mondo delle banche e della consulenza.
Azienda preferita nella quale lavorare. Preferenze donne/uomini:
(fonte: Best100, le aziende preferite dagli italiani - VI edizione, 2007)
Preferenze Donne
1. Barilla
2. Procter&Gamble
3. Mediaset
4. Eni
5. Ferrari
6. Ferrero
7. Vodafone
8. Nestlè
9. Fiat
10. L'Orèal
Preferenze Uomini
1. Ferrari
2. Fiat
3. Barilla
4. Microsoft
5. Eni
6. Ferrero
7. Procter&Gamble
8. Mediaset
9. Unicredit
10. Intesa San Paolo
lunedì 10 dicembre 2007
Employer branding: le donne preferiscono le aziende del largo consumo e della moda.
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