giovedì 28 giugno 2007

Recruitment marketing nell'era del Web 2.0.

Un interessante filmato della Cnbc sull'impatto del social networking e del Web 2.0 sulle attività di recruiting e di employer branding delle aziende.


mercoledì 27 giugno 2007

Employer Branding: attenzione al Web 2.0.

Il fenomeno del social networking ovvero dei blog e degli spazi internet di partecipazione fa emergere una nuova forma di relazione non solo tra le imprese e i consumatori, ma anche tra queste e i potenziali futuri collaboratori.

Non solo quindi i navigatori influiscono già da oggi sulle scelte d’acquisto e sull’immagine dell’azienda o di un suo prodotto o servizio, ma sempre più influiscono e continueranno ad influire, per quanto attiene alla sfera delle risorse umane, sull’immagine dell’azienda come employer di riferimento.

Secondo gli analisti della Gartner
, nel 2011 saranno 50 milioni le persone che parteciperanno al “mondo virtuale” la cosidetta "second life" parallela e alternativa alla "first life" e non lo faranno necessariamente su Second Life, la comunità virtuale tridimensionale creata da Linden Lab nel 2003 e utilizzata oggi da più di 7 milioni di persone.

Questi dati sottolineano una interessante conseguenza della nuova cultura di partecipazione o di social networking, la più recente evoluzione di Internet conosciuta anche come Web 2.0. Si sta quindi affacciando all’orizzonte una nuova tipologia di navigatori, gli utilizzatori dei blog, che una recente ricerca di Forrester sui blogger europei descrive come giovani, studenti (28%) e di scolarità elevata (47%), assidui utilizzatori di Internet con una grande elasticità mentale, più aperti alle novità e maggiormente adusi all’utilizzo delle tecnologie, che fa del proprio utilizzo di Internet non un momento di assimilazione passiva di informazione ma piuttosto un’esperienza di utilizzo della rete partecipativa e attiva, mediante la quale intessere relazioni sociali, costruirsi il proprio network di relazioni e di conoscenze, esprimere le proprie esperienze e le proprie opinioni, anche per quanto attiene in modo più specifico la reputazione dell’azienda come employer.

Le conseguenze, per quanto riguarda la comunicazione aziendale e le modalità con le quali gli uomini delle risorse umane cercano di intercettare i talenti e di costruire la propria immagine di employer di riferimento sono ancora tutte da scoprire.

Quello che è certo è che questi trend e queste tendenze non possono essere sottovalutati così come non si possono trascurare nelle proprie politiche di employer branding quelle persone che sempre di più utilizzano il proprio spazio virtuale per racconatre in presa diretta le loro storie, anche di vita aziendale, con un impatto facilmente immaginabile sull’immagine delle imprese come employer of choice. Da questo punto di vista un commento negativo su un'azienda, non solo su un prodotto o servizio, ma anche su una esperienza di lavoro, può avere l'effetto di una valanga inarrestabile con danni di immagine estremamente significativi e difficilmente recuperabili.

Ne sa qualcosa la Lidl Italia che grazie proprio al blog e alla Rete ha avuto un danno di immagine irreparabile nei confronti dei potenziali collaboratori dell’azienda.

Per chi non conoscesse la storia suggerisco di leggere come viene descritta l’employer experience da un dipendente sul blog di Beppe Grillo.

Proprio per questo nelle proprie politiche di employer branding le aziende non possono dimenticare il Web 2.0 e più in generale prepararsi agli effetti che il social networking avrà sull'employer value proposition aziendale.

venerdì 22 giugno 2007

Le nuove frontiere del recruiting: il social networking.

Prendo spunto da un articolo di Luca De Biase apparso su Il Sole 24 Ore del 17 maggio 2007 , Pubblico Attivo, per una più generale riflessione sugli impatti che il social networking rischia di avere e per certi versi sta già avendo sulle attività di recruiting e di employer branding delle aziende.

Nell'articolo in questione si osserva come i contenuti generati dagli utenti della Rete e l'utilizzo sempre più frequente di servizi quali Tumblr, Twitter, Last.fm, Digg, MySpace e YouTube stanno trasformando i media e condizionandone i modelli di business.
Secondo De Biase "all'Ocse, calcolano che il 35% delle persone connesse in larga banda abbia pubblicato qualcosa sul web, il 25% di coloro che hanno meno di 30 anni ha un suo blog, la metà dei teenager fa parte di un network sociale in rete. In Giappone, 8,7 milioni di persone hanno un blog. In Corea del Sud il 50% degli internettiani ha un blog. In Cina, il 43% delle persone che accedono alla rete usa le bacheche elettroniche e i forum, mentre il 24% usa un blog. Inoltre, il tempo che la gente passa con i siti che consentono di pubblicare qualcosa in rete è sempre più lungo. Nel Regno Unito addirittura 4,2 giorni al mese (tanto per avere un metro di paragone gli italiani che usano internet in media si connettono per 18 ore e mezza al mese, secondo la Nielsen/NetRatings). Il fenomeno è globale".
E non riguarda solo chi pubblica video su YouTube o foto su Flickr, ma anche - per quanto più attiene alle nuove frontiere del recruitment marketing e dell'employer branding - chi cerca colleghi con Linkedin, fa marketing personale con MySpace e con Facebook.
E' in buona sostanza la nuova frontiera del web 2.0 con la quale le direzioni risorse umane delle aziende saranno chiamate sempre di più a confrontarsi per non perdere la sfida di accaparrarsi, su scala mondiale, i migliori talenti che sempre di più, a cominciare dagli Usa dove queste piattaforme sono più diffuse, coinvolgono quella fascia di età della popolazione che va dai 16 ai 24 anni e che sempre di più sarà difficile per le aziende intercettare, per campagne di marketing, di prodotto o anche - per quello che in questo contesto più ci interessa - di recruiting,
Riprendendo quanto segnalato dall'articolo infatti "una ricerca citata dall'Ocse segnala che il 62% dei contenuti online visti dai ventunenni è generato da qualcuno che già conoscono offline. Con questo sistema, non professionale ma efficace, una quantità di attenzione devia dal mondo dei media tradizionali verso questo mondo dei contenuti generati dal pubblico".
Proprio per questo chi si occupa di recruiting nelle aziende deve iniziare a tenere d'occhio con molta attenzione queste evoluzioni che a breve rischiano di avere un forte impatto con l'aumento dell'utilizzo di piattaforme e sistemi di social networking anche da parte dei giovani talenti italiani e più in generale per le grandi aziende dove maggiore è l'impatto dell'innovazione e della creatività e che sempre di più dovranno confrontarsi e aprire le proprie strategie di recruiting anche ai talenti provenienti da altri Paesi.
E l'unico modo di farlo sarà di riuscire a comprenderne per tempo le potenzialità e le modalità di utilizzo e integrarne l'utilizzo nelle proprie strategie di employer branding.

giovedì 21 giugno 2007

2007, fuga da Google. L'altra faccia del successo.

Prendo spunto da un articolo molto interessante di Massimo Gaggi apparso sul Corriere della Sera per una riflessione su un particolare risvolto che Google, l'azienda nella quale gli americani vorrebbero lavorare, sta attraversando sull'onda lunga del suo stesso successo.

Si tratta in particolare della fuga di quei giovani talenti che per primi si sono imbarcati nell'azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin e che grazie alle stock options sono diventati milionari a trent'anni.

E' evidentemente un caso limite di un'azienda che, per un certo verso, sta rimanendo vittima del suo stesso successo, anche se l'alto numero di nuove leve e potenziali talenti che premono per entrare a lavorare nell'azienda di Mountain View non dovrebbe riuscire ad intaccare la solidità aziendale ne tantomeno la sua straordinaria capacità di innovare per crescere.

Vecchi (e ricchi) a 30 anni, fuga da Google
di Massimo Gaggi, Il Corriere della Sera, 20 giugno 2007
"Google non ha ancora dieci anni, continua a crescere tumultuosamente e ad attirare «cervelli» da tutto il mondo ed è, secondo la classifica di Fortune, il luogo di lavoro più ambito dagli americani. Ma già deve affrontare un'emorragia di talenti: più di un terzo dei primi trecento dipendenti assunti dai fondatori Larry Page e Sergey Brin tra il 1998 e il 2002 — quasi tutti ingegneri e matematici — hanno incassato le loro «stock option» milionarie e se ne sono andati; chi ai Caraibi, chi a fondare nuove aziende informatiche. Un esodo di queste dimensioni in un'azienda normale è come una campana che suona a morto, la fuga da una nave che rischia di affondare. Ma a Google non c'è niente di normale.
È un'azienda straordinariamente dinamica e innovativa. Anche un po' spaventosa, per la sua capacità di demolire tutti gli argini: regole di convivenza tra imprese, tutela del copyright, rispetto della privacy e rapporti di lavoro tradizionali.

Una rivoluzione che lascia tutti frastornati, mentre Google cambia e cresce alla velocità della luce: successo, arricchimenti, progresso delle carriere, avvicendamento di «cervelli» sempre più giovani e «freschi » reclutati con metodi di ricerca del personale quantomeno originali. Tecniche che variano da quelle (apparentemente) ludiche, come i «Google Games» — i giochi nei quali studenti di università rivali come Stanford e Berkeley si sfidano in discipline che vanno dalle costruzioni Lego ai puzzle più complessi, ai videogiochi di ultima generazione — a procedure da «Grande fratello» come lo «screening» di massa dei candidati, realizzato analizzando con un algoritmo matematico i 1300 questionari (ricchi anche di domande su questioni molto personali) compilati ogni giorno da chi vuole entrare nell'azienda di Mountain View.
Da un lato i ventenni brillanti e ambiziosi che continuano a essere assunti al ritmo di 500 al mese da un'azienda che dal 2003 raddoppia ogni anno il suo organico (oggi i dipendenti sono oltre 13 mila); dall'altro i drappelli di manager che, a trent'anni, hanno già accumulato una fortuna. Molti preferiscono liquidare i titoli ricevuti qualche anno fa al valore nominale di un dollaro e che ora, dopo la quotazione e la straordinaria galoppata di Google in Borsa, valgono più di 500 dollari. C'è chi vuole investire e diventare imprenditore in proprio, chi preferisce godersi una ricchezza che lo libera dal lavoro come bisogno e chi, molto più semplicemente, arrivato a 32 o 33 anni, non vuole sentire sul suo collo il fiato di «genietti» più giovani, freschi e aggressivi.
È una porta girevole che ruota vorticosamente, quella di Google, simbolo di un'epoca nella quale tecnologie e globalizzazione hanno accelerato tutti i cicli economici. Alcuni dei siti sociali di maggior successo sono frutto del lavoro dei fuoriusciti dell'azienda di Mountain View. È il caso di Twitter o di BuzzLogic. Aydin Senkyt — un matematico che se n'è andato due anni fa, subito dopo la quotazione di Google in Borsa, ed ha incassato qualche decina di milioni di dollari — ha già creato 22 nuove aziende. Bismarck Lepe, che aveva cominciato a lavorare per Google nel 2003, quando aveva solo 23 anni, due mesi fa si è dimesso dall'azienda «più desiderata dagli americani» per sviluppare Ooyala, un sito web per immagini video ad alta definizione. Ed ha confessato alla rivista Forbes la sua ambizione: creare «un'impresa che diventerà più grande di Google».
Dapprima l'azienda ha cercato in ogni modo di arginare un fenomeno che reputa comunque dannoso: chi rimpiazza i dimissionari ha bisogno di tempo per entrare in sintonia col team e il suo modo di lavorare e poi Page e Brin consideravano ogni esodo dalla loro azienda-gioiello un'erosione della cultura aziendale. Perché lasciare un'impresa che ti coccola dalla mattina alla sera offrendoti gratuitamente palestre, vasche jacuzzi, campi di pallavolo sulla sabbia, lavanderie gratuite, una segreteria a disposizione di tutti i dipendenti per prenotare viaggi, ristoranti, teatri, dolciumi e succhi organici in ogni angolo e cibo da gourmet cucinato dai 12 diversi ristoranti sparsi nel «campus»?
Per molti la tentazione di trasformare in oro le stock option avute qualche anno fa, si è rivelata troppo forte. E poi, quando i tuoi dipendenti sono già tutti ricchi, è difficile trattenerli con un aumento di stipendio. Molti sono rimasti negoziando una rotazione delle mansioni aziendali. Altri, come Colin Wong, se ne sono andati lamentando che Google sta perdendo la sua anima di «esploratrice della conoscenza » da quando l'attenzione si è concentrata sulla conquista di fette crescente del mercato pubblicitario, «on line » e non. Molti, però, hanno deciso di restare. Il direttore della ricerca tecnologica, Larry Silverstein, il primo dipendente assunto nove anni fa da Page e Brin, è uno di questi. Ha guadagnato una fortuna in poco tempo e ora potrebbe incassare altri 100 milioni di dollari dalla vendita delle sue stock option e levare le tende. Ma non è facile abbandonare il campus costruito sul più grande giacimento di intelligenza — naturale e artificiale — del mondo. Lui confessa che, con quello che ha già guadagnato, continuare a lavorare significa praticamente fare del volontariato. Ma gli piace ancora lavorare alla soluzioni del problemi matematici posti dallo sviluppo del motore di ricerca, il cuore del «sistema Google». Craig è la persona che mi accolse quando, due anni fa, andai a visitare Google. Indimenticabili il garbo e il tono di paterna pazienza con i quali questo ragazzo — allora appena trentenne — «spiegava il futuro » a un vecchio dinosauro della carta stampata.
Il rischio principale, a Google, è la sindrome dell'onnipotenza. Può capitare, in un'azienda che sta costruendo la biblioteca universale, che si è data la missione di «organizzare tutta la conoscenza del mondo», che ora pretende di organizzare anche le nostre con i nuovi programmi basati su algoritmi capaci di «ottimizzare» le scelte che facciamo tutti i giorni, che ha polverizzato il concetto di «privacy» analizzando gusti, costumi e abitudini di tutte le persone che dialogano in rete e riproducendo ogni angolo del Pianeta con i suoi satelliti e le migliaia di telecamere sparse in giro per il mondo. Il fatto che molti lascino quest'azienda onnipotente è, in fondo, salutare. E rassicurante. Alla fine se ne sono fatti una ragione anche a Mountain View: «Noi — ha dichiarato a Forbes il vicepresidente di Google Laszlo Bock, ripetendo il solito slogan — dobbiamo organizzare tutta l'informazione del mondo, non vogliamo fare di Google la compagnia più grande del mondo. Se da noi nascono le 200 start up più innovative, non è una cattiva cosa». Anche perché molte di queste aziende, per quanto indipendenti, mantengono un legame tecnologico o operativo con la corazzata Google".

mercoledì 20 giugno 2007

Il commento alla Best100 su Radio 24

Mi sembra interessante segnalare - per chi eventualmente l'avesse persa - la puntata di questo appuntamento di Job 24 che si è occupata delle aziende preferite dai lavoratori italiani.

La trasmissione ovviamente prende spunto dai risultati di "Best100", la classifica delle 100 aziende in cui i migliori talenti italiani vorrebbero lavorare, realizzata da Key2Peole, in collaborazione con PeopleValue.

Ospiti della puntata Renzo Noceti, Partner di Key2people, e Vittorio Villa, responsabile di Robert Half Executive Search per l'Italia.

- Ascolta la puntata.

- Scarica la puntata.

mercoledì 13 giugno 2007

Best100 2007: la classifica.

La classifica delle 100 aziende preferite dagli italiani secondo l'indagine 2007 di Intermedia Selection società facente parte del gruppo Key2People, realizzata in collaborazione con PeopleValue, mette al primo posto la Ferrari, al secondo Barilla e al terzo la Fiat che recupera ben sette posizioni rispetto alla passata edizione, segno che la cura Marchionne ha portato risultati positivi non solo nei bilanci dell'azienda e nell'andamento delle sue quote di mercato, in costante crescita negli ultimi mesi, ma anche nell'immagine dell'azienda come posto nel quale lavorare e crescere professionalmente.

L'indagine 2007 della Best100, le aziende preferite dagli italiani è stata condotta nei mesi di aprile e maggio ed ha coinvolto un campione di 4.956 persone su tutto il territorio nazionale, rappresentative della popolazione italiana dei laureati e diplomati.

Di seguito la classifica della Best100, le aziende preferite dagli italiani - VI edizione, anno 2007:

Rank 2007 - Azienda
01. Ferrari
02 .Barilla-
03. Fiat
04. Eni
05. Procter&Gamble
06. Mediaset
07. Microsoft
08. Ferrero
09. Enel
10. Vodafone
11. Intesa San Paolo
12. Unicredit
13. Nestlè
14. Ibm
15. Telecom Italia
16. Google
17. Bmw
18. Unilever
19. L'Oréal
20. General Electric
21. Armani
22. Johnson&Johnson
23. Bulgari
24. Gucci
25. Coca Cola
26. Accenture
27. Mondadori
28. McKinsey & Company
29. LVMH

30. Nokia
31. Ikea
32. Finmeccanica
33. Poste Italiane
34. Pirelli
35. Nike
36. Pfizer
37. Toyota Motors
38. HP
39. Luxottica
40. Rai
41. Siemens
42. Ferrovie dello Stato
43. Ducati
44. Generali
45. Diesel
46. Sony
47. Dolce&Gabbana
48. Coop
49. Cisco
50. Armando Testa
51. Apple
52. Bayer
53. Benetton
54. Kpmg
55. Sky
56. Capitalia
57. Bosch
58. Technogym
59. Novartis

60. Danone
61. Brembo
62. Bnl
63. Fater
64. Oracle
65. Prada
66. Alpitour
67. Auchan
68. Rcs Media Group
69. Daimler Chrysler Mercedes
70. Esselunga
71. Geox
72. GlaxoSmithKline
73. Monte dei Paschi di Siena
74. Ing
75. Agusta Westland
76. Alenia
77. BNP Paribas
78. Ernst&Young
79. Henkel
80. Philip Morris
81. Roche
82. Valtur
83. Abb
84. American Express
85. Iveco
86. Kraft
87. Plasmon
88. Bain&Co.
89. Citigroup
90. Deloitte

91. Fastweb
92. Heineken
93. Alitalia
94. Illy
95. 3M
96. Piaggio
97. Carrefour
98. Costa Crociere
99. Deutsche Bank
100. Indesit

Best100 2007: è Ferrari l'azienda preferita dagli italiani.

Ferrari vince il gran premio dell’azienda preferita dagli italiani, seguita da Barilla e da Fiat.

L’edizione 2007 della Best100, l’indagine sulle imprese più ambite dove lavorare premia le grandi aziende dell’industria, dell’alimentare e del largo consumo, in un contesto nel quale perde smalto la carriera nelle aziende dell’ICT ma riaffiora, sull’onda lunga di fusioni e acquisizioni, il fascino irresistibile del posto in banca.

Sono soprattutto le grandi aziende, a cominciare dalle più importanti realtà dell’industria, ma anche dell’alimentare, del largo consumo e del mondo della finanza a conquistare consensi nella scelta delle aziende nelle quali potendo scegliere si vorrebbe lavorare, in un contesto nel quale il lavoro rimane la prima preoccupazione, sia per chi ha già un’occupazione che per chi si affaccia per la prima volta nel mondo del lavoro.

Sono queste, in estrema sintesi le maggiori evidenze emerse dalle risposte dei 4.956 tra studenti e professional che hanno partecipato, nei mesi di aprile e maggio, all’edizione 2007 della Best 100 l’indagine - realizzata da Intermedia Selection in collaborazione con PeopleValue, società specializzata nei settori dell’employer branding e nella realizzazione di survey e attività di marketing per le risorse umane - che ogni anno restituisce il posizionamento del brand aziendale nei confronti del mercato del lavoro, consentendo alle aziende di valutare l’impatto delle proprie politiche di employer branding per attrarre e trattenere i talenti in azienda.


Alimentare e largo consumo sono poi i settori che, nell’edizione 2007 della Best100 sulle aziende preferite dagli italiani registrano i maggiori consensi in termini di crescita dell’appetibilità come settori di impiego. Barilla, al secondo posto della classifica generale, si conferma come azienda leader nel settore alimentare, seguita da Procter&Gamble al 5 posto nella classifica generale e al primo posto nel settore del largo consumo.

Se i grandi colossi italiani dell'industria risultano stabili, con Eni al 4 posto, Enel al 9, uno degli elementi che maggiormente colpiscono dall’indagine 2007 della Best 100 è in generale la presa di distanza da tutto quello che sa di telecomunicazioni e di Information Technology.

A questa tendenza non è riuscita a sottrarsi nemmeno Telecom Italia fortemente penalizzata da mesi di frullatore mediatico e giudiziario a seguito dei fatti che hanno caratterizzato le vicende societarie più recenti, tant’è che per la prima volta nell’analisi storica delle rilevazioni di tutte e sei le edizioni della Best100 viene sorpassata in termini di gradimento da Vodafone in un contesto più generale dove tutte le aziende del settore tlc vedono diminuire il proprio appeal come employer di riferimento.

Nemmeno le aziende del settore dell’Information Technology resistono alla debacle che vede in arretramento tutto il comparto legato a questo settore, a parte la tenuta di Microsoft, che conserva la palma di prima azienda del settore IT e Ibm che si posizionano rispettivamente al 7 e 12 posto e l'eccezione di Google, leader incontrastata del settore Internet, che sale al 16 posto dalla 34 posizione dell’edizione passata.

L’altra importante novità dell’indagine 2007 è rappresentata dalla grande appetibilità registrata dal mondo della finanza, in particolare delle banche che, favorite dalla visibilità guadagnata con i grandi processi di acquisizione, concentrazione e fusione che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare gli ultimi mesi, hanno registrato un generale apprezzamento della propria employer value proposition.

martedì 12 giugno 2007

Google. La ricetta per diventare best employer.

Peter Drucker aveva ragione a proposito di quelli che lui definiva, già alla fine degli anni '50, i knowledge workers: coloro che lavorano per produrre conoscenza (analisti, programmatori, ricercatori) sono pagati per essere efficaci e non per stare in azienda dalle 9 alle 17; chi lo capirà, diceva il guru del management, avrà il vantaggio competitivo nel prossimo quarto di secolo.

A sposare a pieno questa tesi è Google, l'azienda fondata nel 1998 da due studenti e che adesso è leader nel settore delle ricerche sul web, quotata in borsa e con più di mille dipendenti. Quasi tutti kowledge worker. Per questo il tema del loro benessere ha grande spazio nei progetti del management.

La conferma viene dall'amministratore delegato, Eric Schmidt che, insieme a Hal Varian, professore all'università di Berkeley e consulente di Google, ha stilato per Newsweek un decalogo che insegna a "sfruttare" in senso positivo e nel migliore dei modi i professionisti del sapere. Una summa di principi che Google applica con grande profitto da sempre.

Si parte dall'assunzione: chi fa un colloquio in Google viene sentito da almeno dodici persone, tra manager e potenziali colleghi. E nella scelta del candidato conta l'opinione di ciascuno di loro. Un processo più lungo, certo, ma con una garanzia, come spiegano Schmidt e Varian su uno degli ultimi numeri del newsmagazine americano: "Se assumi lavoratori in gamba e li coinvolgi nel processo di assunzione degli altri, avrai lavoratori ancora più in gamba" .

Il secondo principio è soddisfare ogni bisogno. È ancora Drucker a insegnare come si fa: l'obiettivo è liberare il percorso da ogni ostacolo. Google dà i propri dipendenti un pacchetto standard di benefits in natura: non solo ristoranti, palestra e parrucchiere, ma anche lavanderie, autolavaggio e trasporti, tutto ciò che di cui il lavoratore tipo ha bisogno ma a cui non vuole pensare: "Per esempio, i programmatori vogliono programmare non fare il bucato e noi gli rendiamo facile fare entrambe le cose".

Farli convivere è il terzo obiettivo: quasi ogni progetto, a Google, è di squadra e le squadre devono comunicare. Il modo migliore per rendere facile lo scambio di idee e di informazioni è mettere i membri della squadra uno accanto all'altro, quindi non in scrivanie isolate ma in stanze condivise. In questo modo quando un programmatore vuole conferire con un collega ha un acceso immediato, non telefonico né per e-mail.

Il quarto consiglio è facilitare la coordinazione: ogni settimana, il membro di una squadra che lavora allo stesso progetto scrive una e-mail per mettere al corrente gli altri colleghi dei progressi raggiunti e delle ricerche effettuate, racconta cioè a che punto è il proprio lavoro così gli altri possono sincronizzarsi.

Quello che ironicamente viene titolato "mangiare il cibo del proprio cane" è il quinto punto cardine ed è anche il più logico: i lavoratori di Google usano gli strumenti prodotti dall'azienda, primo fra tutti il web con una apposita pagina per ogni progetto, tutte indicizzate e disponibili. Così molti dei prodotti sono testati dai lavoratori prima di essere immessi nel mercato: come nel caso di Gmail, il nuovo modo di concepire il programma di posta elettronica nato proprio dall'esigenza dei dipendenti dell'azienda.

Sesto principio: incoraggiare la creatività. Ogni ingegnere di Google può spendere fino al 20 per cento del suo tempo su un proprio progetto. C'è naturalmente un processo di approvazione e una supervisione ma, in generale, la creatività è permessa e incentivata. C'è poi anche una mailing list delle idee: una scatola (naturalmente informatica) di suggerimenti dove i dipendenti possono imbucare le loro idee su tutto, dall'area di parcheggio ai nuovi computer. Il software permette di commentare e classificare le idee altrui così che alla fine quelle più interessanti siano sempre in cima.

Non ci sono leader né eroi: questa è la settima regola. "Pensiamo che molti sia meglio che pochi" scrivono Schmidt e Varian. "E sollecitiamo una larga base di punti di vista prima di prendere qualsiasi decisione, perché il ruolo del manager è quello di aggregare le varie opinioni, non dettare le decisioni già prese". L'esperienza aziendale di Google insegna che costruire un consenso richiede molto più tempo ma alla lunga paga di più.

L'ambiente sereno è, naturalmente, un obiettivo per tutte le aziende: "Noi cerchiamo davvero di vivere secondo questo principio, soprattutto tra i quadri alti: è ovvio che ognuno sia appassionato alle proprie idee e tenda a sottovalutare quelle degli altri, ma qui nessuno si tira addosso le sedie. Preferiamo creare un'atmosfera di tolleranza e rispetto, ma non una folla di yes-man" .

"Le informazioni guidano le decisioni": è il nono slogan. In Google ogni decisione è basata sull'analisi quantitativa. Sono stati creati sistemi per gestire le informazioni non soltanto su internet ma anche all'interno dell'azienda. Ci sono decine di analisti che trattano le informazioni esterne per tenere tutti costantemente informati su ciò che gravita attorno al progetto al quale lavorano.

Comunicare in maniera efficace è la decima e ultima regola d'oro. Per questo ogni venerdì si tiene una grande assemblea allargata a tutti con aggiornamenti, presentazioni, domande e risposte (ma anche drink e snak). Questo permette al management di stare in contatto con tutti i lavoratori, sapere ciò che pensano e viceversa.

Certo, Schmidt e Varian ricordano che, nonostante l'ambiente sereno, ci sono tanti piccoli problemi da affrontare quotidianamente. Fra tutti la "tecno arrogance": ingegneri e programmatori sono competitivi per natura e tollerano poco chi non sta al passo. Proprio per questo Google ha, al proprio interno, delle persone specializzate nella gestione dei gruppi di lavoro, dei veri e propri team builder insomma.


Il risultato di questa politica è sotto gli occhi di tutti. 1.300 curricula ogni giorno, più di un milione l'anno. Uno dei tassi di turnover più bassi tra le aziende della Silicon Valley e una politica di gestione delle risorse umane che premia i talenti, la creatività, conciliando il tutto con le esigenze personali di ognuno e che, proprio per questo, si rivela la politica di retention più efficace.