martedì 12 giugno 2007

Google. La ricetta per diventare best employer.

Peter Drucker aveva ragione a proposito di quelli che lui definiva, già alla fine degli anni '50, i knowledge workers: coloro che lavorano per produrre conoscenza (analisti, programmatori, ricercatori) sono pagati per essere efficaci e non per stare in azienda dalle 9 alle 17; chi lo capirà, diceva il guru del management, avrà il vantaggio competitivo nel prossimo quarto di secolo.

A sposare a pieno questa tesi è Google, l'azienda fondata nel 1998 da due studenti e che adesso è leader nel settore delle ricerche sul web, quotata in borsa e con più di mille dipendenti. Quasi tutti kowledge worker. Per questo il tema del loro benessere ha grande spazio nei progetti del management.

La conferma viene dall'amministratore delegato, Eric Schmidt che, insieme a Hal Varian, professore all'università di Berkeley e consulente di Google, ha stilato per Newsweek un decalogo che insegna a "sfruttare" in senso positivo e nel migliore dei modi i professionisti del sapere. Una summa di principi che Google applica con grande profitto da sempre.

Si parte dall'assunzione: chi fa un colloquio in Google viene sentito da almeno dodici persone, tra manager e potenziali colleghi. E nella scelta del candidato conta l'opinione di ciascuno di loro. Un processo più lungo, certo, ma con una garanzia, come spiegano Schmidt e Varian su uno degli ultimi numeri del newsmagazine americano: "Se assumi lavoratori in gamba e li coinvolgi nel processo di assunzione degli altri, avrai lavoratori ancora più in gamba" .

Il secondo principio è soddisfare ogni bisogno. È ancora Drucker a insegnare come si fa: l'obiettivo è liberare il percorso da ogni ostacolo. Google dà i propri dipendenti un pacchetto standard di benefits in natura: non solo ristoranti, palestra e parrucchiere, ma anche lavanderie, autolavaggio e trasporti, tutto ciò che di cui il lavoratore tipo ha bisogno ma a cui non vuole pensare: "Per esempio, i programmatori vogliono programmare non fare il bucato e noi gli rendiamo facile fare entrambe le cose".

Farli convivere è il terzo obiettivo: quasi ogni progetto, a Google, è di squadra e le squadre devono comunicare. Il modo migliore per rendere facile lo scambio di idee e di informazioni è mettere i membri della squadra uno accanto all'altro, quindi non in scrivanie isolate ma in stanze condivise. In questo modo quando un programmatore vuole conferire con un collega ha un acceso immediato, non telefonico né per e-mail.

Il quarto consiglio è facilitare la coordinazione: ogni settimana, il membro di una squadra che lavora allo stesso progetto scrive una e-mail per mettere al corrente gli altri colleghi dei progressi raggiunti e delle ricerche effettuate, racconta cioè a che punto è il proprio lavoro così gli altri possono sincronizzarsi.

Quello che ironicamente viene titolato "mangiare il cibo del proprio cane" è il quinto punto cardine ed è anche il più logico: i lavoratori di Google usano gli strumenti prodotti dall'azienda, primo fra tutti il web con una apposita pagina per ogni progetto, tutte indicizzate e disponibili. Così molti dei prodotti sono testati dai lavoratori prima di essere immessi nel mercato: come nel caso di Gmail, il nuovo modo di concepire il programma di posta elettronica nato proprio dall'esigenza dei dipendenti dell'azienda.

Sesto principio: incoraggiare la creatività. Ogni ingegnere di Google può spendere fino al 20 per cento del suo tempo su un proprio progetto. C'è naturalmente un processo di approvazione e una supervisione ma, in generale, la creatività è permessa e incentivata. C'è poi anche una mailing list delle idee: una scatola (naturalmente informatica) di suggerimenti dove i dipendenti possono imbucare le loro idee su tutto, dall'area di parcheggio ai nuovi computer. Il software permette di commentare e classificare le idee altrui così che alla fine quelle più interessanti siano sempre in cima.

Non ci sono leader né eroi: questa è la settima regola. "Pensiamo che molti sia meglio che pochi" scrivono Schmidt e Varian. "E sollecitiamo una larga base di punti di vista prima di prendere qualsiasi decisione, perché il ruolo del manager è quello di aggregare le varie opinioni, non dettare le decisioni già prese". L'esperienza aziendale di Google insegna che costruire un consenso richiede molto più tempo ma alla lunga paga di più.

L'ambiente sereno è, naturalmente, un obiettivo per tutte le aziende: "Noi cerchiamo davvero di vivere secondo questo principio, soprattutto tra i quadri alti: è ovvio che ognuno sia appassionato alle proprie idee e tenda a sottovalutare quelle degli altri, ma qui nessuno si tira addosso le sedie. Preferiamo creare un'atmosfera di tolleranza e rispetto, ma non una folla di yes-man" .

"Le informazioni guidano le decisioni": è il nono slogan. In Google ogni decisione è basata sull'analisi quantitativa. Sono stati creati sistemi per gestire le informazioni non soltanto su internet ma anche all'interno dell'azienda. Ci sono decine di analisti che trattano le informazioni esterne per tenere tutti costantemente informati su ciò che gravita attorno al progetto al quale lavorano.

Comunicare in maniera efficace è la decima e ultima regola d'oro. Per questo ogni venerdì si tiene una grande assemblea allargata a tutti con aggiornamenti, presentazioni, domande e risposte (ma anche drink e snak). Questo permette al management di stare in contatto con tutti i lavoratori, sapere ciò che pensano e viceversa.

Certo, Schmidt e Varian ricordano che, nonostante l'ambiente sereno, ci sono tanti piccoli problemi da affrontare quotidianamente. Fra tutti la "tecno arrogance": ingegneri e programmatori sono competitivi per natura e tollerano poco chi non sta al passo. Proprio per questo Google ha, al proprio interno, delle persone specializzate nella gestione dei gruppi di lavoro, dei veri e propri team builder insomma.


Il risultato di questa politica è sotto gli occhi di tutti. 1.300 curricula ogni giorno, più di un milione l'anno. Uno dei tassi di turnover più bassi tra le aziende della Silicon Valley e una politica di gestione delle risorse umane che premia i talenti, la creatività, conciliando il tutto con le esigenze personali di ognuno e che, proprio per questo, si rivela la politica di retention più efficace.




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