venerdì 17 ottobre 2008

Lavoro: il disagio di una vita precaria.

Con il post che vi propongo oggi sono consapevole di rischiare di andare fuori tema. Che c'entra il lavoro nei call center con l'employer branding e i talenti? Forse c'entra poco. Penso però che tra le migliaia di ragazzi e ragazze, cuffia in testa per otto ore di lavoro davanti ad un monitor, troviamo giovani diplomati o anche brillanti laureati che non si sa come finiscono in questa assurda area di parcheggio pensando magari ad un lavoro temporaneo e finendo invece per passarci talmente tanto tempo da non riuscire più a collocarsi. Ma siamo proprio sicuri che siano tutti così scarsi da non meritare una chance in più. O è forse il mecato del lavoro che da questo punto di vista ha qualcosa che occorrerebbe cambiare? Sto parlando non solo di formazione ma anche di opportunità di ingresso nel mercato del lavoro. In ogni caso mi sembrava interessante segnalare un artciolo di oggi su La Repubblica: si tratta di un reportage di un giornalista della testata che ha lavorato per una settimana in un call center ad Assago, nel Milanese, condividendo così le aspettative e le delusioni dei precari che ogni giorno vivono la loro esperienza nelle centinaia di strutture analoghe esistenti in tutta Italia.


Io cavia nel call center. Cronaca di una vita precaria
di Sandro De Riccardis
"Sono l'operatore 172. Ho risposto a un annuncio su Internet spedendo via e-mail il mio curriculum, e dopo il colloquio sono qui, con le cuffie in testa e il microfono che mi sfiora le labbra, a proporre a decine di titolari di partite Iva di lasciare Telecom e passare a Infostrada. Ho lavorato una settimana alla Mastercom, azienda di telemarketing e teleselling nella zona industriale di Assago, hinterland di Milano, un cubo di vetri a specchio e cemento a pochi passi dalla tangenziale Ovest, costola di un gruppo in espansione con nuove sedi a Roma e Benevento. Dopo la selezione, ho trascorso giorni in azienda senza aver firmato nessun contratto. Ho visto i 1200 euro lordi assicurati dai selezionatori, al colloquio e nei primi due giorni di formazione, diventare 800 al mese lordi (appena 640 netti), mentre le provvigioni promesse si sono ridotte in ventiquattr'ore della metà. Ho conosciuto universitari che non ce la fanno a pagarsi gli studi, ragazzine appena diplomate reduci da altri call center, segretarie trentenni licenziate e sostituite da giovani con contratto da apprendista, laureati con titoli improvvisamente inutili. Tutti senza altra chance che essere qui. Mi pagano 4 euro netti l'ora. Contratto di collaborazione occasionale per trenta giorni, poi a progetto. Otto ore al giorno - 4 e mezzo il part time - di fronte a un monitor che passa in automatico i dati degli abbonati Telecom da contattare. Promettono un mensile di 1200 euro e provvigioni di 20 (contratto Voce) e 25 euro (contratto con Adsl) per ogni nuovo cliente rubato alla concorrenza. "Qualcuno qui guadagna più di me - spiega Massimo, il selezionatore, al colloquio -. La media dei contratti di ogni operatore è di 3,9 al giorno". Nessuno però spiega il trucco contabile: il calcolo dell'azienda è su 30 giorni lavorativi perché alla Mastercom si lavora dal lunedì al venerdì. Così trenta giorni, il loro "mensile", corrispondono a sei settimane. Un mese e mezzo. E i 1200 euro promessi diventano nella realtà 800 euro al mese. Lordi. Appena 640 netti. Pagati a 60 giorni. Una cifra che nessuno pronuncia mai, un equivoco che gli altri 16 ragazzi che entrano con me in azienda capiranno molto tardi.
Alla Mastercom il turnover di operatori è continuo: ogni lunedì entrano tra i dieci e i venti nuovi lavoratori, altrettanti abbandonano. Con me ci sono quattro ragazzi e 12 ragazze. Dai 19 anni di Antonella e Giovanna, appena uscite dalle superiori, ai 38 di Carla e agli "oltre 40" di Alessandra, che s'imbarazza a rivelare l'età e a dire che sta provando a riprendere a lavorare dopo nove anni, dopo un divorzio. Ci sono anche 4 stranieri: Frida che viene dal Ghana e Salomon dal Camerun, Betsy dall'Ecuador e Lidia dal Venezuela. Tutti ventenni, seconda generazione di famiglie arrivate in Italia quando loro erano bambini. Sono i nuovi italiani: scuole a Milano, ottimo italiano, ambizioni di un futuro diverso da quello dei genitori. Molti arrivano dai call center di Monza, Cesano Boscone, Milano città, "dove si lavora 24 ore su 24, dal lunedì alla domenica, come robot". O da centri commerciali, ristoranti, locali nel cuore della movida milanese dove "una notte di lavoro, dalle 19 all'alba viene pagata 50 euro in nero a fine serata". I primi due giorni di formazione - non retribuiti, anche se è a tutti gli effetti attività lavorativa che dev'essere pagata dal datore di lavoro - sono una full immersion di marketing e psicologia della vendita. Con qualche trucchetto per produrre di più. Uno riguarda il modem per Internet. "Si può noleggiare o acquistare - spiega chi ci istruisce - . Al telefono col cliente, abbassate la voce come se state rivelando un segreto poi sussurrate: "Guardi, glielo dico senza farmi sentire sennò mi licenziano. Lo compri, costa solo 17 euro, le conviene piuttosto che pagare 3 euro ogni mese. In realtà lo state fregando. Presto si romperà, e l'azienda non ha nessuna voglia di fare manutenzione". Le ore passano tra simulazioni di telefonate, studio delle obiezioni che riceveremo, illustrazione dei contratti da proporre. "Dovete essere lo specchio dell'altro. Capire i desideri dell'acquirente, agire sulla parte emotiva - ci dicono - . Fare come scrive Pirandello. Cambiare ogni volta maschera. Se ci pensate, noi vendiamo sempre qualcosa: le idee, la nostra immagine, le nostre scelte". Fino al mercoledì, terzo giorno di lavoro, nessuno vede un contratto. Così nel cortile nascono complicati dibattiti sullo stipendio, con i telefonini che si trasformano in calcolatrici. L'atrio all'ingresso è l'unico spazio all'aperto. È qui che si fa pausa per caffè e sigarette. Qualcuno dell'azienda ci vede e ci rassicura, almeno sulle provvigioni: "20 euro per contratto voce, 25 Adsl". Poi si passa in sala training e da mezzogiorno iniziamo a fare le prime telefonate. "Ricordate Full metal jacket? - dice Alex, il nostro team leader - Il soldato diceva "Il mio fucile è il mio migliore amico, è la mia vita. Senza il mio fucile io sono niente". Il nostro fucile sono le cuffie. Con loro dobbiamo saper colpire il bersaglio". Con il nostro fucile, siamo operativi davanti ai pc senza aver firmato nulla. Come se paga, provvigioni e condizioni contrattuali fossero una variabile indipendente dal nostro lavoro. Ma ecco, due minuti prima della pausa pranzo, quando non vogliamo far altro che scappare a mangiare, arrivano i moduli per la firma. "È il contratto standard dei collaboratori occasionali" spiegano a chi si dilunga a leggere. Molti capiscono solo ora che i 1200 euro di stipendio coprono sei settimane di lavoro e non un mese. E che non è detto che le nostre provvigioni saranno di 20 e 25 euro: la terza pagina da firmare è un elenco indistinto di gettoni da 5 a 25 euro. Per tutto il pomeriggio di mercoledì, le nostre telefonate raggiungono il segmento di clienti Telecom ULL (Unbundling local loop), quelli che sono rimasti sempre fedeli all'ex monopolista e a cui si propone il distacco totale dalla vecchia Sip. Poi, all'improvviso, giovedì, il nostro team leader blocca tutto. "Siete un gruppo molto affiatato, l'azienda vuole scommettere su di voi. Da ora chiamerete un'altra categoria di clienti". Soddisfatto dei complimenti, tutto il gruppo - tranne tre che restano sui vecchi contratti - inizia a chiamare i "silenti", i clienti che ai tempi delle prime liberalizzazioni sono passati a Infostrada pur dovendo pagare doppio canone, e che per questo sono rimasti a Telecom. "Si tratta di convincerli a tornare", ci dicono. Partiamo con le telefonate ai Wrl (clienti fuori copertura). Per scoprire, soltanto il giorno dopo, che per questi contratti le provvigioni non sono di 18 e 25 euro ma 8 e 12 euro. Meno della metà. Nessuno ce lo dice. "Per ora è cosi" rispondono quando chiediamo spiegazioni. Ma nessuno ribatte. E nessuno reagisce alle proteste delle persone a casa, alle offese e alle minacce di denuncia. Ci hanno insegnato che dobbiamo essere più forti delle difficoltà. Mi metto in contatto con un clic con ogni partita Iva che appare sul monitor. Da Bolzano a Siracusa, chiamo tappezzieri e pizzerie, parrucchieri e macellai, studi di architetti e avvocati, profumerie e scuole guida, imprese edili e meccanici. "Oggi è la 14esima volta che ci chiama qualcuno" rispondono all'Oasi del capello di Broni, provincia di Pavia. "Siete ossessivi" dicono da un negozio di giocattoli di Potenza. "Bombardate dalla mattina alla sera" si sfoga un medico calabrese. Perché quando qualcuno non accetta la proposta, l'ordine non è di escluderlo dal database, ma di rimetterlo in circolo per essere richiamato tra poche ore o tra una settimana, a secondo della violenza della sua protesta. Il contrario di quanto stabilisce il Garante della privacy che dal dicembre 2006 obbliga i call center a "rispettare la volontà degli utenti di non essere più disturbati". I miei colleghi che misurano ogni euro del loro lavoro, si accorgono così che non è tanto facile acquisire clienti. Anche se per giorni ci hanno ripetuto il numeretto magico di 3,9 contratti stipulati ogni giorno da ogni operatore. Tra mercoledì e venerdì facciamo tre contratti. Lunedì, ultimo giorno di lavoro, un paio. In fondo alla sala, sulla lavagna c'è il nome di ognuno di noi: in rosso c'è l'obiettivo che si è dato prima di partire, accanto uno smile per ogni contratto realizzato. In queste sale non c'è il rito motivazionale che si vede in Tutta la vita davanti, il film di Paolo Virzì sul mondo dei call center, ma a ogni contratto concluso dai nuovi, c'è in sala training l'applauso dei colleghi. E così avviene nella sala grande se qualcuno raggiunge il numero di contratti per ottenere il bonus in busta paga. Un concetto ce l'hanno spiegato subito: serviamo solo se vendiamo. Perché la somma dei nostri contratti fa il risultato del team leader, i loro risultati sono il target della Mastercom col committente, Wind-Infostrada. "Ma se l'azienda fissa gli obiettivi, mette a disposizione le sue strumentazioni e gestisce turni e assenze, si configura una posizione da lavoratore dipendente", spiega Davide Ferrario, del Nidil, il sindacato dei precari della Cgil. Dopo una settimana, il mio gruppo non esiste più. Eravamo in 17 il primo giorno, siamo rimasti in 5. L'ultimo contratto che vedo è di Luca, rimasto in sala training una settimana in più, mentre quelli arrivati con lui sono già nella sala grande. È stato 15 giorni in attesa di questo momento: contratto Adsl a una romena di 18 anni. A fine giornata, tira fuori il telefonino e immortala l'evento. Fa una foto alla lavagna col suo nome accanto al disegno di un visino sorridente".
Io cavia nel call center. Cronaca di una vita precaria di Sandro De Riccardis
su La Repubblica del 17 ottobre 2008

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