Tutti i quotidiani di oggi, finanziari e non, riportano in grande evidenza di come la Federal Riserve abbia lasciato al suo destino la quarta banca d’affari americana, uno dei marchi più prestigiosi della finanza a stelle e strisce, la Lehman Brothers che ieri ha chiesto l’ammissione al Charter 11, ovvero alla procedura di fallimento. La notizia choc ha fatto il giro del mondo, insieme alle cifre impressionanti del più grande crac della storia: 613 miliari di dollari di debito conosciuto, circa dieci volte quello della Enron.
Il fallimento di Lehman Brothers non è solo lo sviluppo della crisi dei mutui immobiliari americani ad alto rischio, che ha portato al salvataggio di Bear Stearn da parte della Fed, poi all’assunzione diretta da parte del tesoro americano dei rischi su 5 mila miliardi di mutui di Fannie e Freddie. Il fallimento di Lehman è la sparizione di uno dei nomi storici dell’investment banking americano e mondiale. E avviene mentre un altro di questi colossi storici, Merril Lynch, prima casa di brokeraggio finanziario americana, viene rilevato da Bank of America prima che sprofondi a propria volta, mentre AIG, il colosso assicurativo americano, ha a sua volta ha chiesto aiuto al Tesoro.
Per il mondo delle banche e della finanza è una nuova doccia fredda, che si ripercuoterà sui segni già evidenti di frenata dell’economia reale. La crisi finanziaria più grave da un secolo l’ha definita l’ex banchiere centrale Alan Greenspan. L’Europa, dal canto suo, che già si muoveva al rallentatore non aveva bisogno certo di questa ulteriore frenata – sono 6.000 i dipendenti del colosso americano che resteranno a casa in Europa - mentre già si scommette su quale possa essere la prossima vittima tra le banche europee.
L’impatto, almeno per il momento, sulle attività di casa nostra sembra limitato, anche se fa riflettere la dichiarazione dell’amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo che si è detto preoccupato dell’impatto che la bancarotta di Lehman potrà avere sull’intero sistema finanziario.
Questa lunga premessa non tanto perché oggi abbia deciso di stravolgere la natura del blog occupandomi di finanza piuttosto che di capitale umano, quanto perché mi preme mettere in evidenza come, puntualmente, fasi e squilibri dell’economia, abbiano le loro ripercussioni anche sul tema del quale in questo contesto si parla, ovvero sull’appetibilità delle aziende come employer di riferimento.
Ancora una volta infatti il mondo delle banche e più in generale della finanza esce penalizzato dai risultati dell’indagine 2008 della Best100, segno evidente che esiste un legame molto stretto tra accadimenti aziendali e orientamento al lavoro, che dimostra probabilmente una maturità del mercato del lavoro, riferita alla capacità di studenti e professional di orientarsi nel mondo del lavoro, più elevata di quella che normalmente ci si potrebbe aspettare. Il mondo della finanza insomma è la cartina al tornasole di come diplomati e laureati siano in grado di orientare le proprie preferenze verso aziende che operano in segmenti più solidi, penalizzando invece quelle che operano in un contesto più a rischio.
E a rischio è dovuta sembrare oggi, ai 5.040 intervistati dell’indagine 2008, una carriera nel settore della finanza. Sono solo 5 su un totale di 793, gli istituti di credito citati tra le prime cento aziende maggiormente ambite nelle quali lavorare, segno evidente di un malessere che attanaglia quello che una volta era la professione sognata da milioni di italiani, un lavoro in banca. Fu così anche nell'indagine 2004 dopo gli scandali Cirio e Parmalat che che l'anno prima coinvolsero alcune tra le maggiori banche italiane e che mise in ginocchio non solo tanti risparmiatori, ma anche l’employer brand degli istituti bancari più coinvolti. Ma se allora, di fronte alla debacle interna si cercava un'alternativa guardando fuori, ai grandi gruppi bancari internazionali, oggi non è più così. Insomma il mitico posto in banca, già per certi versi appannato da qualche anno, per il 2008 sembra essere definitivamente tramontato negli obiettivi di carriera di diplomati e laureati, per i quali, le banche perdono sempre più appeal.
Tra i 5 gruppi bancari presenti all’interno della classifica delle prime 100 aziende maggiormente ambite nelle quali lavorare Unicredit, che conquista la palma d’oro di azienda preferita di settore, scende di un gradino, dalla 13^ alla 14^ posizione in classifica generale, Intesa San Paolo che perde maggiori consensi scendendo al 19° posto dalla 12^ posizione dello scorso anno mentre il Monte dei Paschi di Siena passa dalla 72 posizione alla 79.
Unico caso in controtendenza sembra essere quello del gruppo Bnl Bnp Paribas che capitalizzando il nuovo corso post acquisizione proietta la banca in 36^ posizione rispetto alla 61^ dello scorso anno e in certa misura dell’accoppiata Mediobanca-Generali, nuovo ingresso la prima al 93° posto e prima e unica azienda del settore assicurativo presente nella classifica delle 100 aziende maggiormente ambite la seconda.
Certo, a molto hanno contribuitoanche le maxi aggregazione realizzate negli ultimi due anni, Unicredit-Capitalia, Intesa-San Paolo, Bpu-Banca Lombarda, Mps-Antonveneta, Popolare di Verona-Bpi, che hanno generato complessivamente 14 mila esuberi su un totale di quasi 340 mila addetti, con fuoriuscite che anche se sempre volontarie e incentivate, hanno comunque minato il clima di fiducia nel settore.
Ad incrementare la perdita di appeal anche la moderazione salariale che ha registrato il settore negli ultimi anni, che se ha contribuito a ridurre lo svantaggio competitivo con gli altri Paesi europei, come riconosce la stessa Abi, ha accentuato dall’altra quella sensazione di declino che si è fatta largo nella categoria per effetto delle trasformazioni dell’ultimo decennio, come l’informatizzazione dei sistemi, la diffusione dell’home banking, i mutamenti introdotti nell’organizzazione del lavoro, soprattutto ml’adozione di sistemi incentivanti di retribuzione, con una parte variabile legata agli obiettivi sempre più preponderante, che hanno avuto un forte impatto sulla qualità della vita allo sportello.
Le origini di questo malessere nei lavoratori vanno ricercate poi nella scarsa valorizzazione della propria esperienza che un istituto bancario oggi è in grado di offrire ai propri dipendenti, nell’esclusione dai momenti decisionali, sempre più sentita con lo spostamento dei centri decisionali dovuto alle aggregazioni, nell’assenza di criteri di carriera univoci, nel ritmo e lnella pressione lavorativa legati allo stress da performance. Insomma i bancari si sentono sempre più passacarte e sempre più intercambiabili. Quasi operai in una catena di montaggio virtuale, in cui non è più importante la competenza e il rapporto con il cliente ma dove conta il budget, il risultato.
E’ da questi spunti che il mercato del credito deve ripartire se vuole intraprendere un’azione volta a recuperare l’immagine del settore e del lavoro ad esso associato, tappa necessaria per fermare quel declino verso questo tipo di carriera che sembra segnare diplomati e laureati senza alcuna distinzione.
L’analisi del settore in termini di appetibilità dell’employer value proposition che è in gardo di offire oggi a studenti, neolaureati e professional, individua una categoria a rischio di estinzione. Nell’immaginario collettivo non c’è più il sogno del posto in banca, quell'impiego ambitissimo perché assicurato a sicurezza e privilegi, un lavoro facile e uno stipendio prestigioso con quattordicesima e quindicesima, pomeriggio libero e settimana corta, premi e benefit da favola. Tutto questo ormai è acqua passata. E le domande di esodo da parte dei lavoratori del settore che arrivano a superare di gran lunga il numero atteso dai piani industriali sia per Unicredit che per Intesa San Paolo, per fermarsi solo alle due più grandi realtà italiane, sono la spia più tangibile di un malessere che non può essere trascurato, pena la sempre minore appetibilità di un impiego nel settore da parte delle giovani leve e sempre maggiori costi da parte delle aziende per ricercare e sostituire il personale mancante, soprattutto quello di sportello, in rapporto al quale non è per nulla facile riuscire a differenziare l'offerta di un gruppo da quella di un'altro, con il rischio evidente di un ulteriore appiattimento verso il basso dell'identità di una professione che è mutata molto negli ultimi anni.
martedì 16 settembre 2008
Employer branding: l'inarrestabile discesa della carriera in banca.
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employer branding,
lavoro
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1 commento:
La mattina non si corre più. Da un giorno all'altro scopri che Singapore, Hong Kong, Tokio e tutti i mercati alla destra della tua bussola vanno avanti anche senza di te. Hai il tempo di farti una doccia con calma e di berti un caffè ascoltando la radio. poi, vero le 10, prendi la Jubilee Line che ti porta nel cuore di Canary Wharf, al numero 25 di Bank Street. Questo è (era) il tuo ufficio. Un grattacielo fantasma di 30 piani e una targa all'ingresso con su scritto Lehman Brothers. Oggi sei ancora qui come ogni mattina da quella maledetta domenica in cui l'azienda ha mandato a tutti la stessa mail annunciando la liquidazione. Anche oggi il momento più importante della giornata è lo struscio da Carluccio, il chiosco italiano dove si incontrano i cacciatori di teste dove i tavoli, da quella maledetta domenica, sono sempre pieni. E intanto tu sei rimasto senza lavoro travolto dall'uragano della crisi. Ma anche i tuoi amici alla Nomura non se la passano tanto bene. Ad alcuni hanno tolto la macchina e il Blackberry. E' un periodo che anche li si lavora poco e quando si lavora poco significa che prima o poi qualcuno ci lascia le penne.
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