venerdì 9 novembre 2007

Engagement e relazioni industriali.

L’effetto Marchionne contagia anche altre aziende. La scelta della Fiat di anticipare ai dipendenti 30 euro di aumento in busta paga non è rimasta isolata. A condividerla hanno incominciato subito dopo l’annuncio dell’amministratore delegato del gruppo automobilistico di Torino anche altre aziende tra cui la Riello, l’Ilva di Taranto e l’Alenia del gruppo Finmeccanica che si sono mosse tutte sulla scia dei 30 euro della Fiat, subito seguite da altre aziende che hanno superato questa soglia.

Si tratta della Brembo del vicepresidente di Confindustria Alberto Bombassei che ha dichiarato di voler aumentare i salari ai propri dipendenti di 43 euro al mese o di aziende come le Acciaierie Valbruna di Vicenza che hanno deciso per un rialzo di 50 per arrivare alla Eaton e alla Sbe di Molfalcone che hanno raggiunto un’intesa su 115 euro di aumento sostanzialmente in linea con le richieste sindacali di 117 euro.

Da questo punto di vista la scelta della Fiat e delle altre aziende che ad essa si sono ispirate nel concedere anticipi sui futuri aumenti retributivi va interpretata come un’apertura e al tempo stesso un monito nei confronti dei sindacati.

Un’apertura perché dimostra come con un meccanismo meno ritualizzato i periodi buoni per le aziende si possano trasformare più velocemente in un vantaggio in busta paga per i lavoratori. “E’ un atto di attenzione nei confronti dei lavoratori ed è coerente con le riflessioni che da tempo Confindustria sta portando avanti per rendere più moderne le relazioni con il sindacato” ha detto il presidente di Confindustria Luca Cordero di Montezemolo. Questo perché a suo parere “occorre superare la ritualità che caratterizzano da almeno trent’anni i rinnovi contrattuali e trasformarli davvero in strumenti utili per la tutela dei lavoratori e le esigenze di competitività delle imprese”. Un monito quindi al mondo sindacale sull’opportunità di continuare con le vecchie liturgie legate a conflittualità e trattative ad oltranza ma anche un monito a quell’ala dura di Federmeccanica che non intende venire incontro alle richieste dei sindacati.

Da questo punto di vista quindi la mossa di Marchionne è di fondamentale importanza perché segna un nuovo paradigma nei rapporti tra aziende e lavoratori, che è il tema che qui ci interessa sviluppare.

In questo caso dal vertice di un’azienda si ammette implicitamente che un buon bilancio non viene costruito solamente dai top manager aziendali, con le loro abilità pagate milioni di euro l’anno, ma anche dai lavoratori, siano essi operai, impiegati o quadri intermedi. Mi sembra se non una rivoluzione copernicana almeno un elemento di grande novità nell’intendere il rapporto azienda-lavoratore in questo Paese con il riconoscimento implicito della centralità delle risorse umane.

Anche se di dimensioni minori rispetto alla Fiat ci sono molte altre aziende che registrano buoni bilanci e ad essi hanno certamente contribuito i loro dipendenti. Corretto quindi riconoscere ad essi dei riconoscimenti non soltanto verbali ma anche tangibili. L’operazione che solo alla Fiat costerà 3 milioni di euro al mese comprensivi dei contributi risponde, per usare le parole di Montezemolo “alla necessità di rimboccari le maniche per far crescere il paese e riconoscere la centralità delle persone che hanno contribuito ai risultati di Fiat”.

Se il segnale dato dalla Fiat non è disgiunto da quello delle altre imprese è comunque significativo che arrivi da un’azienda che in passato si è segnalata in non pochi casi per essere stata un’esponente dell’ala intransigente di Confindustria ma che oggi, impegnata in uno sforzo di risanamento e di crescita, non vuole dover mettere in conto una nuova stagione di conflittualità in fabbrica. Da questo punto di vista il segnale segue un doppio binario, il primo verso il sindacato, l’altro verso Federmeccanica e quegli associati che non sono per nulla contenti dell’iniziativa Fiat.
E sulla logica del doppio binario secondo Confindustria occorre muoversi anche per i rinnovi contrattuali, mantenendo da una parte il contratto nazionale che è e resterà il pilastro della contrattazione nazionale e dall’altra la trattativa di secondo livello come scelta discrezionale dell’impresa variabile a seconda delle performance aziendali.

Da questo punto di vista il tema assume quindi una dimensione più ampia e complessa perché non è solo una questione di soldi è anche una questione di coinvolgimento e motivazione dei dipendenti agli obiettivi di business aziendali (che poi è uno degli obiettivi impliciti di una politica di gestione delle risorse umane votata al rafforzamento dell’employer value proposition aziendale).

Il contratto nazionale riguarda tutte le imprese e non tutte le aziende condividono con Fiat e i casi che abbiamo appena visto una stagione ricca di successi. Se il contratto nazionale proponesse obiettivi legati a aumenti retributivi sic et simpliciter che non tengano conto delle singole e specifiche realtà aziendali si rischierebbe solo di provocare degli squilibri mettendo a rischio la sopravvivenza di alcune piccole e medie imprese. Proprio per questo la linea della doppia contrattazione sembra essere quella più adeguata anche per ridurre le conflittualità in azienda e motivare le persone. Spostare il baricentro della contrattazione collettiva in azienda cioè nel luogo dove si prendono le decisioni rilevanti per far crescere la produttività significa ridisegnare anche il ruolo del contratto nazionale che sempre più andrebbe valorizzato come rete di protezione per quei lavoratori che possono contare solo su questo livello di contrattazione. Per gli altri lavoratori che possono avere retribuzioni più elevate occorre lasciare a livello decentrato il ruolo regolatore della dinamica retributiva. Per far quadrare il tutto occorre però che le parti sociali adottino un nuovo sistema che preveda lo spostamento di quote di salario da contrattare a livello decentrato e che possano sostituire e non aggiungersi a quelle definite a livello nazionale.

Misurare in modo più efficace la produttività serve a premiare il merito perché serve a coinvolgere sempre di più il lavoratore nella sfida della crescita aziendale. Alla Loro Piana, azienda leader nel settore tessile dell’abbigliamento, l’ultimo accordo ha portato una serie di novità: il premio di qualità è stato irrobustito economicamente e da annuale è diventato mensile in modo da essere maggiormente recepito dai lavoratori, inoltre è stato inserito un premio di produttività con indicatori che riguardano ogni fase della produzione, con in più un premio che incentiva la presenza, le cui voci sommate assieme possono arrivare al 10 per cento della retribuzione.

Alla Timavo e Tiene impresa della provincia di Treviso a settembre hanno firmato un accordo che prevede, fra gli altri, un parametro di retribuzione legato al Mol nella misura fissa del 4,5 per cento. Nessun tetto massimo al raggiungimento dell’obiettivo, ma una percentuale direttamente legata al risultato operativo che si ispira chiaramente ad esperienze consolidate come quelle del profit sharing del Regno Unito.

Il segnale che viene quindi da quella parte più illuminata del mondo imprenditoriale mi sembra comunque molto importante perché va nella direzione di innovare i rapporti fra azienda e dipendenti e di costruire di conseguenza un sistema di relazioni industriali coerente con le sfide che le imprese debbono affrontare sui mercati globalizzati.

Innovare queste relazioni significa anche distribuire ai dipendenti i frutti delle innovazioni organizzative, tecnologiche e di mercato che permettono di aumentare la produttività dei fattori produttivi, lavoro compreso. Ma significa anche diminuire la conflittualità, creare un ambiente di lavoro più sereno e rispettoso della dignità delle persone, aumentare il grado di coinvolgimento dei lavoratori nella vita dell’impresa e allineare i propri collaboratori agli obiettivi di business dell’azienda.Ma significa anche rendere coerente e trasparente l’employer value proposition aziendale che si comunica all’esterno per attrarre in azienda le risorse di maggior valore iniziando a costruire dall’interno una ambiente di lavoro che non renda solo uno slogan l’affermazione “la nostra azienda è un buon posto nel quale lavorare”. Ed è proprio sulla base di questa coerenza e di questa consapevolezza che va il plauso ai vari imprenditori che si sono allineati sulla scia di quanto fatto da Marchionne e Montezemolo, con l’augurio che questo nuovo modo di intendere i rapporti tra azienda e dipendenti venga fatto proprio anche da chi, in questo momento e non solo in Federmeccanica, rimane su posizioni di chiusura ormai superate.

Nessun commento: