È già diventato un caso sulla rete. Il pezzo più "cliccato" della settimana sul sito de Il Sole 24 Ore è l'articolo «Avete troppi capi in azienda? Leggete la storia della canoa». Il tutto arricchito da un’animazione, un sondaggio e un commento di Marco Vitale, presdiente della findazione Istud, che ironizza sulla ricca gerarchia esistente a bordo delle aziende, apparso in anteprima sul Sole 24 Ore di domenica 3 febbraio nella pagina dedicata ai manager.
"In effetti la storiella della regata Italia-Giappone" commenta Vitale "ha un forte valore didattico. E l'impennata dei click, come l'alto numero dei partecipanti al sondaggio e i vivaci commenti, sono un segnale preciso: chi va ogni giorno in ufficio assegna una grossa importanza all'organizzazione".
Si tratta di una storiella che circola negli uffici da tempo e riguarda una sfida in canoa tra Italia e Giappone. Naturalmente vince il Giappone e il nostro direttore generale si affida a un gruppo di lavoro per analizzare il problema. Il rapporto finale stabilisce che il Giappone, seguendo un modello organizzativo flat tipo Toyota, aveva un capitano e sette rematori, l’Italia sette capitani e un rematore. Subito vengono chiamati superpagati consulenti e il direttore stabilisce con loro di cambiare la squadra. Ci saranno 4 capitani, 2 supervisori, un capo dei supervisori
e un rematore. Al quale andrà un’attenzione speciale: dovrà essere più motivato, più qualificato, più consapevole.
L’anno dopo il Giappone stravince e il direttore generale è costretto a licenziare il rematore per scarso rendimento. E il consiglio di amministrazione, al quale è stato riconosciuto di aver adottato la tattica migliore e tenuto alta la motivazione, si divide un premio extra. Attualmente sta pensando di cambiare la canoa.
È una storia paradossale (ma neanche troppo) che racchiude molte peculiarità della via italiana al management. Fotografando una realtà molto diffusa, specialmente negli uffici pubblici, denuncia le pecche delle organizzazioni pletoriche invece che piatte come pure il cattivo utilizzo dei consulenti e la disinvoltura nella distribuzione dei premi a chi non merita.
Molto interessanti i "post" inoltrati anche da giovani ragazzi che mettono però in evidenza un certo disagio nel vivere ogni giorno in un'organizzazione "all'italiana".
Ma c'è di più. Il sondaggio sul sito del Sole chiede: l'azienda nella quale voi lavorate è più simile a quella giapponese o a quella italiana (un solo rematore, quattro capitani, due supervisori e un capo dei supervisori)?
Ben otto persone su dieci (con migliaia di risposte) hanno detto di riconoscersi nella squadra organizzata all'italiana.
Già in un survey di qualche anno fa, realizzato da PeopleValue su un campione di lavoratori dipendenti suddivisi per inquadramento, settore di attività e dimensione dell'azienda, aveva evidenziato come i "capi" siano chiamati dai propri collaboratori ad adottare uno stile di gestione delle persone che sia in grado di coinvolgere personalmente i lavoratori, per ottimizzare i risultati e massimizzare la motivazione. Ed erano proprio i dipendenti dell'azienda che richiedevano un maggiore coinvolgimento nelle scelte dell'azienda, una maggiore partecipazione nella definizione e organizzazione del lavoro, nel far si che siano ben chiari gli indirizzi strategici dell'azienda, le scelte del management e il posizionamento dell'azienda nel mercato rispetto ai competitor con una struttura aziendale adeguata, meno gerarchica e basata sulcoinvolgimento. Tutto ciò sembrerebbe creare un clima facilitante che tende a favorire e a d accogliere l'espressione creativa dei singoli membri della struttura organizzativa.
1 commento:
Trovo molto interessante la storia della gara in canoa proposta dal Sole 24 Ore ma, avendo avuto in passato un'esperienza in una multinazionale americana, debbo osservare come anche da loro, nonostante quello che si possa pensare ci siano gran capi, capi e vicecapi.
Nella mia struttura ad esempio si partiva dal basso come account, poi diventavi account manager, poi senior account manager, che a sua volta rispondeva ad un account director che sopra aveva un senior account director che agiva sotto il coordinamento di un executive account director, il quale a sua volta rispondeva ad un vice president che a sua volta rispondeva ad un senior vice president che a sua volta rispondeva ad un executive vice president. All'ultimo gradino l'immancabile CEO.
Non penso sia tanto una questione di gerarchie, di capi e di strutture, quanto di fiducia nelle persone e di approccio al lavoro con un sistema che tende a dare grande libertà e responsabilità sui risultati.
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