giovedì 24 aprile 2008

Talenti in fuga. Innovazione e ricerca: i ritardi dell'Italia.

Il tema della produttività e quello collegato della ricerca e dell’innnovazione è stato pressoché ignorato nell’ultima campagna elettorale.

Eppure, come riportato da Riccardo Viale su Il Sole 24 Ore del 22 aprile 2008, “Ricerca, per l’impresa è un partner debole”, è parecchio tempo che varie agenzie internazionali in primo luogo l’Ocse denunciano la situazione sempre più critica del nostro Paese, segnalando il progressivo declino della produttività multifattoriale, quella che comprende innovazione tecnologica e organizzativa.

L’industria italiana, aggiunge il prof. Carlo Mario Guerci in un articolo su Economy del 23 aprile 2008, "O innoviamo o scompariamo", in passato efficace nell’adottare le migliori tecnologie tipiche dei settori maturi, produttiva nel comporre singole innovazioni in sistemi innovativi si è poi arrestata di fronte a quelle innovazioni che richiedono elevata intensità di risorse umane specialistiche – farmaceutica, chimica ed elettronica – e ha perso del tutto l’appuntamento con la ricerca e l’innovazione che presidiavano le più moderne tecnologie digitali.

Insieme allo scarso sviluppo della capacità tecnologica si è attribuita poca attenzione, continua Guerci, alla capacità organizzativa, elemento fondamentale perché le risorse informatiche richiedono di essere accortamente combinate con rifacimenti profondi dei processi produttivi e porta a dimostrazione l’esempio delle nostre imprese minori che generalmente non sanno come sfruttare le potenzialità di innovazioni che sono già disponibili.

Aver perso il contatto con la rivoluzione digitale è stato il maggior fattore di distacco dal progresso tecnologico moderno e ha inciso sia sulla creazione di nuove imprese del settore sia sugli sviluppi applicativi possibili, sia sulle potenzialità di crescita dell’intera industria e dei servizi sia sulla qualità dell’occupazione.

E calza a pennello per rimarcare questo ritardo l’esempio del Brasile riportato da Luca De Biase in un articolo, “Ritardi tecnologici. Gli italiani e internet ancora poco (e male)”, pubblicato oggi, 24 aprile 2008, su Il Sole 24 Ore, dove una fattura si manda per posta elettronica all’ufficio delle imposte che a sua volta la gira immediatamente al cliente con il risultato di avere operazioni semplici, trasparenti, tempi di pagamenti e riscossione fiscale sotto controllo.

Nella passata campagna elettorale non abbiamo sentito nulla su questi argomenti, nessuna osservazione sulla necessità di un intervento massiccio di digitalizzazione della pubblica amministrazione e della necessità di investire in ricerca scientifica e formazione per ridare slancio al Paese formando al tempo stesso risorse altamente qualificate alle quali le nostre imprese possano attingere.

E dire che le competenze, già oggi, non mancano nel nostro Paese. Basti pensare che se non ci fossero stati i ricercatori italiani l’ Università di Vrije di Amsterdam avrebbe ottenuto ben pochi fondi dall' ERC il Consiglio Europeo delle ricerche.

Su 5 progetti di ricerca che hanno permesso all’università olandese di ottenere i primi fondi messi a disposizione dall'ERC ben tre sono frutto di idee di ricercatori italiani. Davide Iannuzzi (fisico), Arianna Berti (filosofa) e Sabrina Corbellino (storica), sono tre dei 35 “cervelli” che compongono la pattuglia italiana dei 300 talenti vincitori del bando europeo.

L’ERC è il più importante organismo europeo a sostegno della ricerca, che stanzia fondi destinati a giovani ricercatori in base esclusivamente al merito e mediante un rigoroso bando di concorso. Gli stanziamenti dell'ERC per l’anno in corso sono di 300 milioni di euro ma l’obiettivo è di arrivare nei prossimi anni ad erogare 7 miliardi e mezzo di euro per sostenere la ricerca europea e colmare il gap che ci separa dai cugini americani. 9.000 domande presentate di cui 1.600 soltanto da ricercatori italiani, il numero più alto in assoluto, seguiti dalle 1.000 della Germania, dalle 800 della Gran Bretagna e dalle 600 della Francia. Sulla base della graduatoria invece siamo secondi con 35 progetti approvati dopo la Germania, che ne ha avuti approvati 40, e prima dei francesi e degli inglesi rispettivamente con 32 e 30 progetti approvati.

Un successo per i giovani talenti della ricerca italiana offuscato però da un dato sorprendente e molto preoccupante. Su 35 vincitori, ben 13, più di un terzo, hanno deciso di spendere i fondi ottenuti per fare ricerca all’estero. Il paradosso è evidente. L’Italia perde fondi e giovani talenti nella ricerca e nell’innovazione. I motivi che hanno spinto i nostri ricercatori ad andare all’estero sono tipicamente tre: più fondi per la ricerca (l’Italia investe solamente l’1,1% del proprio Pil contro il 2,67 % degli Stati Uniti e il 2,52% della Germania), maggiore numero di strutture d’eccellenza e una cultura improntata al merito.

Al di la del dramma rappresentato da queste motivazioni elencate da alcuni ricercatori intervistati in un articolo di Valentina Vescovo pubblicato il 22 aprile 2008 su Il Messaggero, “Ricerca, prendi i soldi e scappa: così l’Italia perde fondi e cervelli”, che esprimono tutta la frustrazione di una categoria di persone sottoposte al dramma dei baroni universitari e delle loro regole nepotistiche, il grande motivo di preoccupazione è poi rappresentato dal fatto che l’Italia, a differenza di altri paesi europei, non solo non è in grado di trattenere i migliori talenti nella ricerca, ma non è nemmeno in grado di attirarne dall’estero.

Significativo a questo proposito la situazione del polo scientifico di Trieste che esprime eccellenze internazionalmente riconosciute come la Sissa, Scuola Superiore Studi Avanzati o l’ICTP International Center of Theorical Physics o ancora l’area dello Science Park cono oltre 75 istituti di ricerca che si vede sbarrare le porte a ricercatori e scienziati stranieri che vogliono svolgere un programma scientifico in Italia per una questione meramente burocratica e tipicamente italiana che vale la pena di citare per capire come siamo maestri nel farci del male da soli.

Il D.lgs. 17/2008 disciplina i permessi di lavoro per gli scienziati non europei stabilisce che gli scienziati possono venire in italia quando vogliono purchè, ecco che inevitabilmente ci complichiamo la vita, l’istituto dove andranno a lavorare sia iscritto in una lista predisposta dal ministero per l’Università e la Ricerca Scientifica. Lista che, ad oggi, come testimonia un’inchiesta pubblicata su L’Espresso del 24 aprile 2008, “Cervelli in lista d’attesa” di Susanna Jacona Salaria, il ministero non ha ancora emanato. Risultato: nessun istituto di ricerca italiano risulta ancora accreditato e tantomeno è stata resa disponibile la modulistica necessaria all’accreditamento, istuti di ricerca in panne e questure, che dovrebbero rilasciare i permessi, nel caos. In molti casi, come riporta l’articolo si tratta di progetti di ricerca già approvati e ogni ritardo è grave perché essendo i finanziamenti Ue vincolati a tempi e risultati non ammettono ritardi. Il rischio, grave e reale, è di perdere i fondi a vantaggio di altri Paesi e di dirottare i migliori ricercatori verso altri lidi.

La ricerca italiana quindi già afflitta da una cronica debolezza di strutture e investimenti e da logiche poco meritocratiche di selezione, sembra essere un partner sempre meno credibile per venire in aiuto al sistema Paese e alla riscossa dell’impresa manifatturiera nazionale, perché senza un’iniezione di risorse finanziarie e di capitale umano giovane e preparato si esaurisce la dotazione di conoscenze dell’azienda manifatturiera italiana e con essa si perde il vantaggio competitivo delle imprese italiane sui mercati internazionali.

Quanti anni di declino dovremmo subire perché un governo affronti seriamente questi problemi?

1 commento:

Anonimo ha detto...

Da Il Sole 24 Ore di mercoledi 23 aprile 2008.

"Con grande fatica, per superare ostacoli burocratici, il dipartimento di Scienze economiche dell'Università di Bologna ha lanciato un nuovo programma di dottorato allineato agli standard internazionali. Tutto è pronto compreso il nuovo sito in inglese (http://www.phdeco.unibo.it) per illustrare agli stranieri i vantaggi di Bologna e spiegare come fare domanda.
Ma non si può procedere: manca la pubblicazione del bando in italiano sulla Gazzetta Ufficiale (11 pagine in burocratese contro le due del sito). Chiunque penserebbe basti mandare un'email al ministero con il documento allegato. Non è così: il ministero accetta solo l'originale cartaceo firmato e spedito con raccomandata con ricevuta di ritorno. Per accelerare i tempi la soluzione suggerita è di mandare una persona che porti a mano il documento a Roma. Il ministero non specifica se il messo debba andare a piedi, a cavallo o possa usare almeno il treno".

A parte l'ironia della battuta finale, viene da chiedersi come si possa fare, con queste regole e con tanta burocrazia, a competere nel mercato internazionale dei talenti.