martedì 26 maggio 2009

Occupazione: previsioni nere per il secondo semestre.

Se per l'economia s'intravede una luce in fondo al tunnel, per il lavoro siamo ancora al buio. Del resto a dire che "l'occupazione registra con ritardo i cambi di marcia e continuirà a diminuire" nell'anno in corso è stata - pochi giorni fa - la stessa Confindustria. "La maggior parte delle aziende sta vivendo una situazione di sospensione. Solo una piccola parte va molto bene. Ma ci sono anche alcune aziende che stanno entrando in crisi e temo che le conseguenze sull'occupazione e sull'economia reale si faranno sentire nella seconda parte dell'anno". E' questa l'analisi "preoccupata" che Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo ha fatto della situazione economica italiana. Invitato al convegno "Crescere tra le righe" che a Bagnaia, in provincia di Siena, ha messo di fronte per due giorni giovani studenti, banchieri, imprenditori, giornalisti, politici e rappresentanti delle istituzioni. E le cifre raccolte a proposito di occupazione da un'indagine di Unioncamere parlano chiaro: per quest'anno solo il 20 per cento delle aziende prevede di fare qualche assunzione. L'altro 80 starà alla finestra per vedere se la ripresa davvero arriverà o - peggio ancora - aspetterà soffrendo, non rinnoverà i contratti in scadenza e ridurrà la forza lavoro. Alla fine dell'anno, quindi, secondo quanto dichiarano le stesse aziende, si saranno persi altri 220 mila posti di lavoro (circa il 2 per cento sul totale). Un colpo più duro per il settore manifatturiero (meno 2,5 per cento) che per i servizi (meno 1,4), che colpisce più le regioni del Sud rispetto a quelle del Nord e che vede come "vittime predestinate" le piccole imprese, quelle dove gli ammortizzatori sociali sono minimi e dove, dunque, il lavoro negato ha un impatto immediatamente devastante sulle condizioni di vita della famiglia.

Quando l'azienda è di ridotte dimensioni, spiega infatti lo studio Unioncamere, "è più difficile e oneroso mantenere inalterata, e quindi in parte sotto-utilizzata, la capacità produttiva in attesa che cresca di nuovo la domanda". Di fatto, rispetto alle previsioni occupazionali, il pessimismo riguarda soprattutto le aziende artigiane e quelle con meno di dieci dipendenti. Insomma, se l'area metropolitana più legata alle grandi aziende e ai servizi può in qualche modo pensare di difendersi aspettando tempi migliori e conservando le forze necessarie a ripartire, per la "ditta" (indotto o distretto industriale in primis) cavarsela sarà più difficile. La cartina geografica è in questo senso spietata: le cose vanno decisamente meno peggio nelle province del Nord rispetto a quelle del Centro. E il Mezzogiorno sta peggio di tutti. Le grandi aree dell'industria nazionale assorbono meglio il colpo e, come sempre avviene in stato di crisi, i più fragili pagano lo scotto maggiore. A perdere il lavoro saranno per primi i precari, cui basta non rinnovare i contratti ( le previsioni sul 2009 fissano un dimezzamento delle assunzioni a tempo determinato) e le donne. Risulta più a rischio il personale non qualificato che i quadri o i dirigenti. Detto questo, la durezza della partita non si misura solo sui licenziamenti, ma anche sulla cassa integrazione che - pur garantendo un reddito al dipendente - ne dimezza di fatto il potere d'acquisto. Anche qui i dati confermano le preoccupazione della Cei: nei primi quattro mesi dell'anno, ha sottolineato nei giorni scorsi Confindustria, il ricorso a questa forma di sostegno è balzato ai livelli del 1993. E ad aprile, conferma l'Inps, c'è stato un boom: rispetto allo stesso mese del 2008 le ore la cassa integrazione ordinaria ha registrato un balzo dell'864,2 per cento.

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